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I migliori romanzi di autori che hanno vinto il premio Nobel

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Prendetela come se fosse la squadra delle All Stars. Una super-nazionale planetaria, il meglio del meglio. Il dream team degli scrittori rappresentanti dal loro romanzo più bello. Almeno, secondo quello che è considerato l’ordine stabilito dal Nobel.

Può un premio fare tanto? Il Nobel per la letteratura è uno dei cinque premi voluti da Alfred Nobel ed è attribuito all’autore nel campo della letteratura mondiale che “si sia maggiormente distinto per le sue opere in una direzione ideale”: è stato assegnato dall’Accademia di Svezia per la prima volta nel 1901, come gli altri premi istituiti da Nobel stesso e da allora è considerato il premio più importante del mondo anche in questo settore. Questi sono alcuni dei 110 vincitori del Nobel. Il premio infatti non è stato assegnato in nove occasioni, è stato rifiutato due volte e nel 2018 la sua assegnazione è stata rinviata all’anno dopo.

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Il dottor Źivago

Prima del film, c’era il libro. Scritto in piena solitudine da Boris Pasternak e che è il suo capolavoro. Pasternak nacque nel 1890 a Mosca. Il suo ingresso nella vita intellettuale russa coincise con la moda del cubofuturismo e con le più accese esperienze di rinnovamento letterario. Ma per quanto animato da un ansioso bisogno di ricerca, egli non dimenticò mai la più genuina tradizione della sua terra, come testimoniano l’opera poetica e, ancor meglio e di più, il romanzo. La sua poesia, così improduttiva ai fini della propaganda, non lo mise mai in buona luce presso le autorità; egli stesso – non per una ben individuata ragione di ordine politico, ma per un preciso bisogno di salvare la libertà dell’arte e del pensiero – sin dal 1930 visse in disparte nella sua dacia di Peredelkino presso Mosca, dove morì nel 1960. Fu in questa volontaria solitudine che maturò e fu scritto questo romanzo.

Il premio Nobel per la letteratura, conferitogli nel 1958, e l’eco enorme e l’impressione profonda suscitate in tutto il mondo dal romanzo non valsero a toglierlo dall’isolamento né ad attenuare il gelo ufficiale della politica e della letteratura sovietiche. Unanime, la critica di tutto il mondo riconosce che questo romanzo si inserisce, per dirla con le parole di Eugenio Montale, “per l’ampiezza del quadro e per la primordialità delle passioni nella tradizione tolstoiana”; e tuttavia, come scrisse Edmund Wilson, esso “non è affatto un romanzo d’antico stampo. È un romanzo poetico moderno, il cui autore ha letto Joyce, Proust, e Kafka e s’è allontanato dai suoi predecessori per inventare, in questo campo, un genere suo proprio l’intero libro è una grandiosa, enorme espressione simbolica della visione della vita dell’autore”.

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La saga di Gösta Berling

Con questo romanzo Selma Lagerlöf, a cui venne assegnato il premio Nobel nel 1909, tocca il culmine della sua arte: Marguerite Yourcenar la definirà “la più grande scrittrice dell’Ottocento”. Questo libro è un poema epico, raccolta di leggende, racconta le vicende di una stravagante compagnia di bohémien, musicisti, giocatori e bevitori “allegri, spensierati, eternamente giovani” su cui domina la figura di Gösta Berling, il seducente prete spretato, bello come un dio greco, che irradia avventura e gioia di vivere, ma destinato a suscitare amori fatali e sventure.

È una storia di perdizione e redenzione che accetta il male come il bene, le più alte aspirazioni e gli impulsi autodistruttivi, un mondo illuminato dall’amore e immerso in una natura incantata. È un libro che “brucia”, dice ancora la Yourcenar, di un’immaginazione ardente, uno dei romanzi su cui costruiamo i “castelli imperituri del sogno e della fantasia”.

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Canne al vento

Un premio Nobel a una donna italiana. È quanto accadde, sorprendendo la nostra rigida e polverosa accademia con Grazia Deledda nel 1926. È stata una delle maggiori scrittrici italiane, in grado di raccontare l’ambiente rurale della sua terra d’origine, la Sardegna più aspra e in particolare la città di Nuoro, e i drammi naturali della vita di ogni uomo. Nel descrivere la vicenda del servo Efix e delle tre sorelle Pintor, dame di nobili origini ormai decadute, le cui vite vengono sconvolte dal ritorno in seno alla famiglia del nipote Giacinto, Grazia Deledda ci consegna una piccola grande epica della fragilità umana e del dolore dell’esistenza, facendo della Sardegna una potentissima miniatura dell’Italia intera.

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Pigmalione

Nel 1925 uno scrittore, drammaturgo, linguista e critico musicale irlandese vince il premio Nobel È George Bernard Show, che tra le altre cose vinse anche un Oscar per la miglior sceneggiatura non originale per il film omonimo ispirato a questa commedia straordinaria. La storia è semplice: una fioraia procace e volgarotta viene educata per scommessa da un professore di fonetica e diventa simile a una principessa, ma perde gran parte della sua spontaneità e del suo fascino. È il testo più che la messa in scena a rendere unico questo lavoro teatrale e cinematografico. Si legge come un romanzo.

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Siddharta

Nel 1946, terminata la guerra, a vincere il premio Nobel è un tedesco. Ma molto particolare. Si tratta di Herman Hesse, scrittore e poeta naturalizzato svizzero che ha aperto le porte dell’Asia e del pensiero filosofico orientale assieme al misticismo, all’esistenzialismo di Schopenahauer e di Nietzsche e al più schietto pensiero buddista e induista.

Il romanzo più breve e noto della sua enorme produzione (quindici raccolte di poesie e trentadue tra romanzi e raccolte di racconti) venne definito da Hesse “un poema indiano”. È anche il più importante volume della piccola Biblioteca Adelphi, ripubblicato più volte.

Chi è Siddharta? È uno che cerca, e cerca soprattutto di vivere intera la propria vita. Passa di esperienza in esperienza, dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica alla vita degli affari, e non si ferma presso nessun maestro, non considera definitiva nessuna acquisizione, perché ciò che va cercato è il tutto, il misterioso tutto che si veste di mille volti cangianti. E alla fine quel tutto, la ruota delle apparenze, rifluirà dietro il perfetto sorriso di Siddharta, che ripete il “costante, tranquillo, fine, impenetrabile, forse benigno, forse schernevole, saggio, multirugoso sorriso di Gotama, il Buddha, quale egli stesso l’aveva visto centinaia di volte con venerazione

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L’urlo e il furore

C’è un racconto della storia americana che solo il premio Nobel William Faulkner ha saputo fare. L’unico vero scrittore modernista statunitense degli anni trenta, in quanto l’unico che riesce a collegarsi agli scrittori sperimentali europei come James Joyce, Virginia Woolf e Marcel Proust, vince il premio nel 1949. Il suo romanzo più famoso è sicuramente questo.

Faulkner dà voce barocca a tutte le ossessioni e i fanatismi di quel Sud di cui pativa l’interminabile decadenza, incominciata con la sconfitta nella guerra civile. La mitica contea di Oxford diventa il teatro di un insanabile conflitto tra bianchi e neri, bene e male, passato e presente. Il romanzo è un complesso poema sinfonico in 4 tempi, che scandiscono le sventure di una famiglia del profondo Sud.

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Lo straniero

Nel 1957 un giornalista e attivista politico francese vince il premio Nobel. È Albert Camus. Capace di descrivere e comprendere la tragicità di una delle epoche più tumultuose della storia contemporanea, quella che va dall’ascesa dei totalitarismi al secondo dopoguerra e al concomitante inizio della guerra fredda, affrontando il tema del “divorzio tra l’uomo e la sua vita”

La sua opera più importante è considerata uno dei romanzi capitali della letteratura universale e forse è uno degli esordi letterari più potenti di sempre, che diede immediata fama all’autore. Protagonista del libro è Meursault, un modesto impiegato che vive ad Algeri in uno stato di indifferenza, di estraneità a se stesso e al mondo. Un giorno, dopo un litigio, inesplicabilmente Meursault uccide un arabo. Viene arrestato e si consegna, del tutto impassibile, alle inevitabili conseguenze del fatto – il processo e la condanna a morte – senza cercare giustificazioni, difese o menzogne. Meursault è un eroe “assurdo”, e la sua lucida coscienza del reale gli permette di giungere attraverso una logica esasperata alla verità di essere e di sentire. Un romanzo tradotto in quaranta lingue, da cui Luchino Visconti ha tratto nel 1967 l’omonimo film con Marcello Mastroianni.

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Furore

John Steinbeck è l’altro lato della letteratura americana del Novecento. Vincitore del premio Nobel nel 1962 per “le sue scritture realistiche ed immaginative, che uniscono l’umore sensibile e la percezione sociale acuta”, è considerato uno dei principali esponenti della cosiddetta “Generazione perduta” di americani secondo la definizione bruciante che ideò Ernest Hemingway.

Il romanzo racconta l’odissea della famiglia Joad sfrattata dalla sua casa e dalla sua terra, in penosa marcia verso la California, lungo la Route 66 come migliaia e migliaia di americani, mentre rivive la trasformazione di un’intera nazione. L’impatto amaro con la terra promessa dove la manodopera è sfruttata e mal pagata, dove ciascuno porta con sé la propria miseria “come un marchio d’infamia”. Al tempo stesso romanzo di viaggio e ritratto epico della lotta dell’uomo contro l’ingiustizia, questo è forse il più americano dei classici americani, da leggere sempre in tutta la sua bellezza.

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Poesie

Nelly Sachs è stata poetessa e molto altro. Da ebrea berlinese l’autrice sperimentò gli anni della persecuzione hitleriana e sfuggì agli orrori dello sterminio grazie all’aiuto dell’amica scrittrice Selma Lagerlöf, che ottenne per lei un permesso di soggiorno in Svezia. Iniziarono anni di fervida creazione poetica, imparò a conoscere i motivi della mistica ebraica che costituiscono il riferimento costante di tutta la sua poesia che unisce con singolare naturalezzza due termini apparentemente contrastanti: una chiara leggibilità e una evidente inclinazione mistica. Vinse il premio Nobel nel 1966

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L’alveare

Nel 1989 un austero autore spagnolo, Camilo José Cela, vince il premio Nobel “per una prosa ricca ed intensa, che con la pietà trattenuta forma una visione mutevole della vulnerabilità dell’uomo”. Tra i suoi romanzi, questo è straordinario.

In un caffè di quartiere, a Madrid, negli anni successivi alla guerra civile e nel clima di tensione di un nuovo conflitto mondiale, scorrono le vite minime di una moltitudine di personaggi. Sono circa trecento, donne e uomini di ogni età, oscuri alla grande storia e protagonisti indiscussi di un’esistenza vacua che li condanna a nascere, crescere, riprodursi e morire, secondo un canovaccio millenario in cui ogni verbo si coniuga alla prima persona plurale, perché, nella solitudine dell’anonimato, l’io è costretto a una pena insostenibile. Nessuna vita è in sé fondamentale: la ragione e il fine di ogni cosa è l’insieme di tutte le vite, proprio come accade in un alveare. Tra una sequenza e l’altra, episodi che scavalcano episodi e un lento sedimentarsi di aneddoti, la polifonia di un intero popolo esprime all’unisono il significato più profondo della condizione umana. Senza lezioni, perché l’unico insegnamento arriva dall’esperienza. Umili, emarginati, ignoranti, falliti, i protagonisti di questo romanzo si muovono in un orizzonte fisso e, imprigionati nella propria monotona libertà, vivono un mattino che si ripete eternamente.

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Cent’anni di solitudine

Gabriel García Márquez non avrebbe bisogno di presentazioni perché è uno degli scrittori più noti della letteratura latinoamericana anche in Italia e il padre saggio del realismo magico. Vinse il premio Nobel nel 1982 “per i suoi romanzi e racconti, nei quali il fantastico e il realistico sono combinati in un mondo riccamente composto che riflette la vita e i conflitti di un continente”

L’opera più nota e amata dello scrittore colombiano è una finestra su un altro mondo. Da José Arcadio ad Aureliano Babilonia, dalla scoperta del ghiaccio alle pergamene dello zingaro Melquíades finalmente decifrate: cent’anni di solitudine della grande famiglia Buendía, i cui componenti vengono al mondo, si accoppiano e muoiono per inseguire un destino ineluttabile. Con questo romanzo tumultuoso che usa i toni della favola, sorretto da un linguaggio portentoso e da un’inarrestabile fantasia, Gabriel García Márquez ha saputo rifondare la realtà e, attraverso Macondo, il mitico villaggio sperduto fra le paludi, creare un vero e proprio paradigma dell’esistenza umana.

In questo universo di solitudini incrociate, impenetrabili ed eterne, galleggia una moltitudine di eroi predestinati alla sconfitta, cui fanno da contraltare la solidità e la sensatezza dei personaggi femminili. Con la sua forza, il suo bagaglio di visioni e di prodigi, con la sua capacità di reinventare il mondo, questo è il libro rivelazione che ha rivoluzionato il modo di narrare e ha aperto alla forma romanzo una nuova stagione di successi. Un capolavoro insuperato e insuperabile, un racconto tra i più amati di ogni tempo, un «romanzo ideale», secondo le parole dello stesso autore, «capace di rivoltare la realtà per mostrarne il rovescio».

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Costruire la pace. Discorsi dei premi Nobel per la pace

Come in tutte le liste dei migliori di Macity che si rispettino, c’è sempre un contenuto a sorpresa. È questa raccolta, più bella di qualsiasi romanzo a nostro avviso, che mette insieme i discorsi di 15 premi Nobel pronunciati a Stoccolma davanti all’Accademia del Nobel in occasione del conferimento del premio per la pace: da alcune grandi figure che hanno segnato la storia del Novecento, da Martin Luther King al XIV Dalai Lama, da Madre Teresa di Calcutta a Nelson Mandela, a una serie di fondamentali istituzioni internazionali: la Croce Rossa, Amnesty International, Medici senza frontiere e l’Unicef, tra gli altri. Una lettura indimenticabile.

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