L’agente segreto al servizio di Sua Maestà compie 60 anni. È stato infatti creato da Ian Fleming nel 1953 ricalcando in maniera romanzata la vita del suo creatore. Fleming (1908-1964), figlio di un parlamentare britannico, educato nei migliori college europei, ha lavorato durante la seconda guerra mondiale nell’Intelligenza della Marina britannica.
Penna brillante, autore di saggi e articoli di giornali, con i dodici romanzi e due collezioni di racconti ha creato uno dei personaggi più importanti nella storia della letteratura d’evasione: James Bond, agente segreto con licenza di uccidere 007.
Il suo personaggio è stato tradotto in Italia una prima volta negli anni Sessanta-Settanta ma non in maniera adeguata. Adelphi da alcuni anni sta riproponendo una nuova traduzione di tutte le opere con James Bond come protagonista e la nuova traduzione fa veramente giustizia all’originale: arguto, brillante, avventuroso. Certo, diverso dagli 007 che sono stati portati sul grande schermo da vari attori (da Sean Connery a Daniel Craig) anche perché più “datati” dal punto di vista storico. I gadget sono un’invenzione dell’epoca di Roger Moore, per dire, mentre l’eccessiva tendenza a bere e inseguire le donne è stata la leva su cui sia Sean Connery che Pierce Brosnan hanno giocato.
Qui di seguito, i romanzi attualmente disponibili più, come al solito, un po’ di piccole sorprese. Ma non è una sorpresa: sono i migliori libri secondo Macity, come sempre.
Qui trovate tutti gli articoli con i Migliori libri di Macity raccolti in un’unica pagina.
Casinò Royale
Inizia tutto con questo, che è il primo romanzo scritto da Fleming. All’inizio non venne acquistato per produrre i film con Sean Connery, ma è poi tornato nel canone cinematografico. Anche la storia di come nasce James Bond è fenomenale. Il 15 gennaio del 1952, quando si siede alla scrivania di Goldeneye, la sua villa in Giamaica, Ian Fleming non ha idea di cosa scriverà. Parte dal nome del suo personaggio, rubato a un allora celebre ornitologo, e dal ricordo di una partita a carte al Casino di Lisbona, nel 1941. Il primo James Bond nasce così, ed è un romanzo molto diverso da come forse lo stesso Fleming amava raccontarlo. Le scene sono poche, non più di quattro, i veri personaggi anche meno. James Bond impareremo a conoscerlo meglio, perché qui è ancora nei panni (eleganti, spiritosi, crudeli) di Ian Fleming. Ma l’abominevole Le Chiffre, e il suo occhio quasi bianco, non li dimenticheremo, come difficile sarà scordare la Bond Girl forse più letale, la sublime Vesper Lynd. Tutto dunque comincia da qui, dall’odore nauseante di un casinò alle tre del mattino. E la speranza è che duri il più a lungo possibile.
Vivi e lascia morire
Presa velocità, Ian Fleming comincia a lavorare: un libro all’anno, sempre nello stesso periodo di tempo, e immancabilmente un grande successo di pubblico. A Ian Fleming viene universalmente attribuita l’invenzione di una figura letteraria prima di lui non esistente, la Bond Girl: e la Solitaire di Vivi e lascia morire, una veggente vudù con gli occhi quasi viola, i capelli quasi blu e un legittimo sospetto di verginità è una delle rappresentanti più autorevoli della categoria. Ma meno attenzione si presta, in genere, al secondo grande copyright di Fleming, il Bond Villain. Anche qui, Mr Big occhi gialli, pelle grigia, il corpo enorme sorretto a stento da un cuore malato, e il più che legittimo sospetto di essere, in realtà, lo zombie del sommo sacerdote vudù, Baron Samedi – ha pochi rivali. Si aggiungano, a piacere, una notte brava nei locali notturni di Harlem, la scoperta dell’America e della Giamaica, una incredibile sequenza sottomarina, e sullo sfondo la caccia al tesoro di Morgan il Sanguinario. Gli ingredienti per l’avventura più leggera, crudele e incalzante di 007 insomma ci sono tutti: basta solo agitarli, una pagina dopo l’altra.
Moonraker
La versione cinematografica con Roger Moore venne rifatta, introducendo quella che dopo pochissimo sarebbe diventato il più importante progetto della Nasa dai tempi della missione Apollo, cioè lo Space Shuttle. Che ovviamente, nel romanzo di Ian Fleming non c’era. Però c’è molto altro. Per la seconda parte di questo romanzo, in cui Bond tenta di scongiurare l’attacco atomico che il satanico Hugo Dax ha pianificato contro Londra, Fleming aveva fatto ricerche molto accurate, sfruttando la consulenza sia dell’ente spaziale britannico sia del futuro autore di “2001: Odissea nello spazio” Arthur C. Clarke. Per la lunghissima e tormentosa partita a bridge contro Hugo Dax, naturalmente – che lo apre, invece, così come per i molti e preziosi dettagli sulla vita notturna londinese, e per la fisionomia della terza Bond Girl della serie, la temibile Gala Brand, aveva attinto a quella che comunemente si chiama “esperienza personale”. Quanto alla routine quotidiana – il libro si intitolava, in origine, I lunedì sono un incubo- e allo stile di vita di Bond a Londra, qui svelati per la prima volta, erano, con pochi ritocchi, gli stessi del suo autore. Il risultato è la storia più complessa e autentica di Fleming, che sulla sua copia personale di Moonraker aveva scritto una riga da considerare, come sempre, la miglior guida possibile alla lettura: “Ispirato al copione di un film cui ho pensato per molto tempo e alla strada di Dover, su cui ho guidato per anni quando abitavo a St. Margaret’s Bay”.
I diamanti sono per sempre
James Bond è diventato famoso. È il sinonimo di agente segreto, perlomeno nel mondo anglosassone. I film sono ancora di là da venire. E l’autore si diverte e si appassiona a scriverli. Chi conosce i libri di Ian Fleming sa che l’agente 007, in realtà, indaga sempre e soltanto sulle ossessioni private del suo autore. Come, qui, il commercio internazionale di diamanti, che Fleming scoprì leggendo un lungo pezzo uscito nel 1954 sul “Sunday Times” a proposito di un traffico di preziosi fra New York e la Sierra Leone (gli stessi set del romanzo), e poi dedicandosi quasi per un anno a ricerche e interviste negli Stati Uniti. A leggerlo bene, I diamanti sono per sempre è quindi una specie di reportage romanzesco, e una delle sorprese che ci riserva sono le maniacali descrizioni di bar, ristoranti, alberghi, motel, autostrade, deserti americani: polaroid estremamente nitide, che messe l’una accanto all’altra raccontano un sogno che poco a poco si trasforma in un incubo ad aria condizionata. Poi arrivano le sorprese che in fondo ci aspettiamo, come i crudeli rituali e le infernali macchinazioni della malavita americana, ricostruiti con la demoniaca precisione cui Fleming ci ha abituato. Un quadro già complesso, ma quando entra in scena la Bond Girl più spiccia e sentimentale di tutte, Tiffany Case, le cose si complicano quasi troppo – persino per Bond.
Dalla Russia con amore
Una atmosfera: è quello che il cinema sa regalarci, ma anche la letteratura. Con questo romanzo non si può non pensare a Sean Connery e alla chiesa a Istanbul e alle sue catacombe. Però, che storia anche quella scritta da Fleming. La meticolosa preparazione di una trappola diabolica ai danni di Bond, nelle stanze più segrete e più cupe di una Mosca ancora staliniana; un lungo e molto fascinoso intermezzo nella città di tutte le trame e di tutti gli intrighi, Istanbul; un fuori programma assai movimentato in un campo di zingari (e soprattutto zingare); un viaggio attraverso l’Europa sul treno dove molte passioni e altrettanti crimini finivano un tempo per consumarsi: l’Orient-Express.
Il dottor No
L’avventura si chiama Bond, James Bond. I suoi tic, le sue ossessioni (le donne ma anche i grand hotel e il lusso in generale), le sue dipendenze (il cocktail Martini), diventano un patrimonio culturale comune ai lettori di tutto il mondo. Dopo cinque romanzi, Ian Fleming confessò al suo amico Eric Ambler di avere finalmente capito quali fossero gli ingredienti base per una delle sue (delle loro) storie: «ragazze nude, spie, e armi nucleari», meglio se ospitate sulla stessa isola. Di isole adatte al sesto episodio di 007 Fleming ne aveva visitate parecchie, e la più attraente era senz’altro Great Inagua, nelle Bahamas: colonie di uccelli rari protetti dalla Audubon Society, grandi paludi, mangrovie, granchi giganti assai temibili, e guano ovunque. Anche la trama era già pronta, bastava prendere un trattamento per la televisione americana di qualche anno prima, mai realizzato, in cui Fleming aveva ipotizzato che una misteriosa, potentissima organizzazione criminale possedesse apparecchiature in grado di deviare i missili intercontinentali americani. Bisognava solo trovarle un capo, magari prestandogli qualche tratto di un cattivo per antonomasia, il dottor Fu Manchu, e il gioco era quasi fatto. Cosa mancava? Ah già, le ragazze nude, almeno una. Be’, qui Fleming giocava sul sicuro, tanto da potersi permettere di non aspettare gli arzigogolati rituali di accoppiamento del suo 007, presentandoci Honeychile, appena uscita dall’acqua, nella stessa veste in cui, da allora, è impossibile non continuare a immaginarla.
Goldfinger
Il film è forse quello più bello di tutta la serie (e sono 25 ormai). È uno Sean Connery in stato di grazia, ma accanto a lui si svolgono una serie di avventure corali, dimensione che i Bond successivi perderanno, trasformando le avventure sul grande schermo in lunghissimi assolo. La storia del romanzo, invece, è più intrigante. Può essere che Ian Fleming, come spesso gli accadeva, abbia usato Goldfinger per regolare qualche conto, o sublimare alcuni desiderata. Di fatto la sconfitta, nell’estate del 1957, ai campionati semiprofessionistici del Berkshire Golf Club non gli era andata giù, e ancora meno gli stavano piacendo i progetti di Ernõ Goldfinger, l’architetto che in tutta l’Inghilterra demoliva palazzi vittoriani, sostituendoli con discutibili edifici modernisti. Quanto alla sua attraente vicina di casa a Goldeneye, che sarebbe diventata sua amante, somigliava anche troppo a Miss Galore: solo che si chiamava Bianche Blackwell, mentre «Pussy» era il nome in codice di un’agente segreta conosciuta da Fleming durante la guerra. Serviva altro, per scrivere il romanzo fino ad allora più complesso della serie, e da allora in poi forse il più celebre? Be’, sì, serviva la storia, a dir poco rocambolesca, del «più grande colpo di ogni tempo». Parola di Auric Goldfinger.
Thunderball
La vita e l’arte alle volte procedono a braccetto. E diventa difficile distinguere la prima dalla seconda. Soprattutto se, come nel rapporto tra regista e attore (vedi Mastroianni e Fellini, ad esempio) si instaura una sorta di dipendenza, di doppio legame. Dopo aver scritto Goldfinger – e molto prima che Broccoli e Saltzman, a Hollywood, cominciassero a darsi da fare – Ian Fleming aveva capito che la sua creatura era pronta per il cinema, e aveva lavorato a una sceneggiatura. Lo spunto poteva anche essere preso da un incidente qualsiasi (e infatti, Bond finisce in un centro di riabilitazione per disintossicarsi da fumo e alcol, con una cartella clinica quasi identica a quella del paziente Fleming, ricoverato da poco per problemi analoghi). Il plot poteva ruotare intorno a un pretesto abbastanza semplice – il furto di un bombardiere atomico e delle sue due testate. Ma tutto il resto, il cinema essendo il cinema, andava un po’ irrobustito. Così, al posto della logora Smersh ecco entrare in scena la più strutturata Spectre (dove confluiscono «elementi della Smersh, della Gestapo, della Mafia e della Triade»): e a compensazione del superlavoro, a 007 non tocca la solita Bond girl, gliene spettano addirittura tre, una più soddisfacente dell’altra. Ma nessuna, inutile dirlo, esplosiva quanto Domino.
La spia che mi ha amata
Questo è l’ultimo volume di quelli per adesso tradotti da Adelphi. Mancano ancora tre romanzi e due raccolte di racconti, ma il ritmo di pubblicazione della casa editrice milanese è rallentato. Il nuovo dovrebbe uscire entro Natale, se non ci sono ritardi nella traduzione. Ma poco male: già questo romanzo e abbastanza fenomenale e particolare da far solo venire voglia di leggerne ancora. Infatti, se qualcuno gli avesse detto che era un romanzo sperimentale, Fleming lo avrebbe probabilmente inseguito con la frusta. Ma che La spia che mi ha amata sia un esperimento (su Bond) è difficile negarlo. Nella prima parte del libro (Io) Vivienne Michel ci parla dei suoi rapporti con gli uomini fino a quel momento; nella seconda (Loro) dei guai in cui ha finito per cacciarsi; nella terza (Lui), quando la storia sembra avviarsi alla conclusione, suona alla porta un agente del Servizio Segreto di Sua Maestà. Ai fatti, presi uno a uno dalla sua vita quotidiana, Fleming ha messo la sordina, ma tutto il resto – a cominciare dal sesso, e non del genere più soave – lo ha raccontato al massimo del volume. Finendo per scrivere il suo libro, paradossalmente, più intimo. E il meno classificabile.
La vita di Ian Fleming, creatore di James Bond
Chi era Ian Fleming, il creatore di James Bond e l’autore di altre memorabili cose da leggere, purtroppo mai tradotte in italiano? John Peterson è forse il suo più attento biografo e per fortuna il suo lavoro è disponibile nella nostra lingua. Ufficiale dei servizi segreti e donnaiolo spietato. No, non si tratta di James Bond – o meglio, non solo –, ma di Ian Fleming, il suo ideatore, colui che chiamava “M” la propria madre e che nel 1952 creò il suo celebre “doppio”. Tra uccisioni, donne bellissime e avventure pericolose in posti esotici, l’opera di John Pearson è un ritratto fedele del famoso romanziere inglese, che fa emergere lo stretto rapporto tra il personaggio di 007 e lo scrittore, al punto che l’intero ciclo di Bond si può interpretare come una segreta confessione dello stesso Fleming.
James Bond’s Aston Martin DB5
Un fotolibro in inglese, ma c’è poco da leggere: bisogna far correre gli occhi su queste foto di grande formato davvero notevoli. È la storia dell’automobile di James Bond, che è un mito di per sé: la DB5 della Aston Martin. Un’auto come non ce ne sono più.
Bond Cars: The Definitive History
Altro libro di automobili, ancora in inglese, ma con tanto da guardare perché segue soprattutto la storia cinematografica dell’agente segreto britannico. Questo volume è una sontuosa celebrazione delle auto che sono diventate protagoniste al fianco della spia immaginaria più famosa del mondo. Grazie a risorse esclusive e di valore inestimabile come i tabulati originali, i disegni tecnici e gli story-board, accompagnati da fotografie inedite e interviste esclusive, possiamo salire virtualmente su tutte le auto guidate da 007 in quasi tutti i film. In inglese, ma ci sono anche le testimonianze dei produttori e custodi della fiamma di Bond, Michael G. Wilson e Barbara Broccoli, nonché di Daniel Craig e del supervisore degli effetti speciali e dei veicoli d’azione e veterano di 15 film di Bond, Chris Corbould. Questa è la storia della più grande icona del cinema, raccontata attraverso il prisma delle auto leggendarie che ha guidato.
Bond, James Bond. Come e perché si ripresenta l’agente segreto più famoso del mondo
Concludiamo con due libri extra, come tradizione. Il primo è del famoso sociologo Alberto Abruzzese che, con Gian Piero Jacobelli, cura questa raccolta di saggi pubblicata nel 2015 che spiega la ragione esistenziale di James Bond. Nello Barile, Paolo Fabbri, Gian Piero Jacobelli, Gian Franco Lepore Dubois, Valerio Magrelli, Andrea Miconi, Massimo Negrotti, Giovanni Scipioni, si sono interrogati sulle caratteristiche e sulle condizioni che hanno propiziato la perdurante vitalità di quel mito. Esplorando le molteplici dimensioni narrative, comportamentali, identitarie del personaggio Bond, hanno concluso che la sua forza risiede paradossalmente nella sua debolezza, nel fatto di non avere cavalcato la tigre del cambiamento a oltranza, consentendo a tante diverse generazioni di continuare a viverlo nelle sue più specifiche dimensioni drammaturgiche e spettacolari.
James Bond. Fenomenologia di un mito (post)moderno
Matteo Pollone affronta lo stesso tema di Abruzzese cercando di costruire un profilo più giornalistico ma altrettanto affascinante. “Il mio nome è Bond, James Bond”: frase cult, immutata da Agente 007 Licenza di uccidere a Spectre, ancora oggi tra le più ripetute e amate nella storia del cinema. Pronunciata negli anni da attori molto diversi tra loro (Sean Connery, Roger Moore, Pierce Brosnan fino a Daniel Craig, ultima incarnazione della spia inglese più sexy di sempre) che si sono fatti carico dei diversi portati politici, storici, sociologici e di gender messi in campo di volta in volta dalla saga di 007. Dalla letteratura allo schermo, passando per i videogiochi, l’enogastronomia, le riviste di gossip e la semiotica, la fenomenologia di Bond viene ricostruita attraverso i saggi di studiosi che si interrogano sull’attualità di un mito che continua a rilanciarsi senza perdere in grinta e smalto, alternando vodka martini (agitato, non mescolato) e birra, mai rinunciando ad avere una Bond-girl mozzafiato accanto a sé.
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