Bill Clinton, l’ex presidente degli Stati Uniti, una volta disse che il libro più bello che avesse letto l’aveva scritto un autore americano: Gabriel García Márquez. Fu un momento storico importante, certo visto con una particolare ironia da Gabo, lo scrittore e giornalista colombiano che ha cambiato la storia della letteratura latinoamericana, vinto un premio Nobel e raccontato alcune delle storie più belle di sempre.
Oggi, grazie al lavoro dei figli, dagli archivi di Marquez, scomparso quasi dieci anni fa (il 17 aprile del 2014), emerge un inedito gustosi e affascinante, come furono tutti i suoi romanzi. Gabo scrisse molto, com’è ovvio non tutto allo stesso livello ma la qualità complessiva della sua opera narrativa è comunque impressionante. Quale migliore occasione di un nuovo romanzo arrivato attraverso le sabbie del tempo per ripercorrerla?
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Ci vediamo in agosto
Il romanzo di cui tutti parlano. L’opera che mancava, rimasta nel cassetto, parzialmente incompiuta. È il sorprendente romanzo inedito dell’autore di Cent’anni di solitudine e L’amore ai tempi del colera.
Si sentì maliziosa, allegra, capace di tutto, e imbellita dalla mescolanza sacra della musica con il gin. Pensava che l’uomo del tavolo di fronte non l’avesse vista, però lo sorprese a osservarla quando lo guardò per la seconda volta. Lui arrossì. Lei sostenne il suo sguardo mentre lui controllava l’orologio da tasca con la catenina.
Ogni anno, il 16 agosto, Ana Magdalena Bach – quasi cinquant’anni di età e una trentina scarsa di soddisfacente vita matrimoniale – raggiunge l’isola dei Caraibi dove è sepolta sua madre. Il traghetto, il taxi, un mazzo di gladioli e l’hotel: questo rituale esercita su di lei un irresistibile invito a trasformarsi – una volta all’anno – in un’altra donna, a esplorare la propria sensualità e a sondare la paura che silenziosa cova nel suo cuore.
Lo stile inconfondibile di Márquez risplende in questo romanzo, musicalissimo di variazioni sul tema che è nello stesso tempo un inno alla libertà, un omaggio alla femminilità, una riflessione sul mistero dell’amore e dei rimpianti. Un’esplorazione del desiderio che non si affievolisce con l’età.
Cent’anni di solitudine
L’opera per eccellenza di Gabriel García Márquez. Da José Arcadio ad Aureliano Babilonia, dalla scoperta del ghiaccio alle pergamene dello zingaro Melquíades finalmente decifrate: cent’anni di solitudine della grande famiglia Buendía, i cui componenti vengono al mondo, si accoppiano e muoiono per inseguire un destino ineluttabile.
Con questo romanzo tumultuoso che usa i toni della favola, sorretto da un linguaggio portentoso e da un’inarrestabile fantasia, Gabriel García Márquez ha saputo rifondare la realtà e, attraverso Macondo, il mitico villaggio sperduto fra le paludi, creare un vero e proprio paradigma dell’esistenza umana. In questo universo di solitudini incrociate, impenetrabili ed eterne, galleggia una moltitudine di eroi predestinati alla sconfitta, cui fanno da contraltare la solidità e la sensatezza dei personaggi femminili.
Con la sua forza, il suo bagaglio di visioni e di prodigi, con la sua capacità di reinventare il mondo, questo è il libro rivelazione che ha rivoluzionato il modo di narrare e ha aperto alla forma romanzo una nuova stagione di successi. Un capolavoro insuperato e insuperabile, un racconto tra i più amati di ogni tempo, un «romanzo ideale», secondo le parole dello stesso autore, «capace di rivoltare la realtà per mostrarne il rovescio».
L’amore ai tempi del colera
Gli amanti di Gabo si dividono in due categorie. Quelli che “Cent’anni” e quelli che “L’amore”. A chi dare torto? A nessuno, ovviamente.
Per cinquantun anni, nove mesi e quattro giorni Fiorentino Ariza ha perseverato nel suo amore per Fermina Daza, la più bella ragazza dei Caraibi, senza mai vacillare davanti a nulla, resistendo alle minacce del padre di lei e senza perdere le speranze neppure di fronte al matrimonio d’amore di Fermina con il dottor Urbino. Un eterno incrollabile sentimento che Fiorentino continua a nutrire contro ogni possibilità fino all’inattesa, quasi incredibile, felice conclusione.
Una storia d’amore e di speranza con la quale, per una volta, Gabriel García Márquez abbandona la sua abituale inquietudine e il suo continuo impegno di denuncia sociale per raccontare un’epopea di passione e di ottimismo. Un romanzo atipico da cui emergono il gusto intenso per una narrazione corposa e fiabesca, le colorate descrizioni dell’assolato Caribe e della sua gente. Un affresco nel quale, non senza ironia, si dipana mezzo secolo di storia, di vita, di mode e abitudini, aggiungendo una nuova folla di protagonisti a una tra le più straordinarie gallerie di personaggi della letteratura contemporanea.
Cronaca di una morte annunciata
Il terzo grande libro scritto da Gabo. Uno dei più famosi e più citati, con un titolo che, proprio come i precedenti, è talmente popolare da essere diventato un modo di dire.
Santiago Nasar morirà. I gemelli Vicario hanno già affilato i loro coltelli nel negozio di Faustino Santos. A Manaure, “villaggio bruciato dal sale dei Caraibi”, lo sanno tutti: presto i fratelli della bella quanto svanita Angela vendicheranno l’onore di quella verginità rubatale in modo misterioso dall’aitante Santiago, ricco rampollo della locale colonia araba. Tutti lo sanno, ma nessuno fa alcunché per impedirlo: non la madre della vittima designata, non il parroco, non l’alcalde, neppure una delle numerose fanciulle che spasimano per il Nasar.
E così la morte annunciata lo sorprende nel fulgore di una splendida mattinata tropicale. Ma non per agguato o per trappola: un destino bizzarro e crudele fa sì che la fine di Santiago si compia per un concorso di fatalità ed equivoci, mentre gli stessi assassini fanno di tutto perché qualcuno impedisca loro l’esecuzione.
Basato su un fatto reale, questo romanzo venne pubblicato nel 1981 (un anno prima del Nobel a García Márquez) e, pur nella brevità, rappresenta uno dei vertici della sua narrativa: un romanzo magistrale che sa fondere i toni della tragedia antica con il ritmo di una detective story in una grandiosa allegoria dell’assurdità della vita, l’apoteosi della fatalità.
Memoria delle mie puttane tristi
Un altro degli straordinari protagonisti dell’universo letterario di Gabriel García Márquez. Il libro comincia così: “L’anno dei miei novant’anni decisi di regalarmi una notte di amore folle con un’adolescente vergine.”
Questo è il libro con cui il premio Nobel colombiano torna dopo dieci anni alla narrativa. A raccontare è la voce dell’anziano protagonista, un giornalista eccentrico e solitario, che accanto a un’adolescente scopre il piacere inverosimile di contemplare il corpo nudo di una donna che dorme “senza le urgenze del desiderio o gli intralci del pudore”.
Scopre forse per la prima volta l’amore, quello che non ha mai cercato in tutte le donne che ha incontrato e conosciuto, trovando “l’inizio di una nuova vita a un’età in cui la maggior parte dei mortali è già morta”.
Dell’amore e di altri demoni
Ci inoltriamo in un territorio meno battuto e meno noto. Nel territorio degli altri romanzi di Gabo. Ritenuti a torto “minori”, soprattutto da chi vuole chiudere l’opera dell’autore nei due o tre capolavori che l’hanno reso noto al grande pubblico. Eppure, ci sarebbe ancora tanto da leggere.
Da un’antica tomba nel convento delle clarisse di Cartagena emerge una lunghissima chioma rossa. Dal singolare evento, cui il giovane Garcia Màrquez, allora cronista alle prime armi, si trovò ad assistere, scaturisce questo affascinante racconto pubblicato nel 1994, con il quale Gabo torna alle atmosfere di Cent’anni di solitudine e ai temi dell’Amore ai tempi del colera, la passione erotica che diventa malattia, metafora della letteratura e della vita.
Al centro della vicenda, ambientata in una Cartagena de Indias perduta in un vago e oscuro passato coloniale, sospeso tra il possibile e il misterioso, c’è la passione innaturale e distruttiva che vede protagonisti una bellissima bambina morsa da un cane rabbioso, un medico negromante e un giovane esorcista posseduto dal mal d’amore.
Costruito con la logica di Calderón de la Barca e l’ironia di Cervantes, questo romanzo vive di una prosa insolitamente scarna ed essenziale. Una scrittura decantata e limpida che dà vita a pagine di struggente poesia e di emozionato pudore con cui Gabriel Garcia Márquez riesce ad avvincere il lettore, trascinandolo in un enigmatico universo capace di travolgere i sensi e i sentimenti.
Racconto di un naufrago
Un racconto particolare, speciale. Che torna indietro nel tempo e che unisce la finzione alla cronaca della realtà, in un labirinto che sarebbe piaciuto a Borges.
Nel 1955 il giornale colombiano «El Espectador» pubblicò il resoconto del naufragio di un marinaio, Luis Alejandro Velasco. A raccogliere le sue parole, un cronista alle prime armi. Ripubblicato in volume nel 1970, questo breve libro lascia ampio spazio alla voce stessa di Velasco: le sue paure primordiali, i fantasmi che si agitano nella notte scura, l’inaspettata salvezza. Ma è il romanziere e l’uomo di impegno civile García Márquez ad andare oltre la cronaca, indagando sui retroscena dei fatti e sulle responsabilità del governo colombiano, fino a trasformare un piccolo episodio in un pezzo di storia del suo Paese.
Nessuno scrive al colonnello
Torniamo all’inizio, agli esordi. Perché Gabo non nasce con Cent’anni di solitudine ma molto prima, un po’ per volta, con passione ma anche con determinazione. Considerata per ritmo e misura, per densità e asciuttezza di stile la prosa più riuscita del giovane García Márquez, quest’opera costituisce un prezioso tassello di quel ciclo di Macondo che troverà la sua grande sintesi in Cent’anni di solitudine.
Il vecchio militare in attesa di una pensione che non arriva mai, e che sacrifica perfino i magri pasti per allevare un gallo da combattimento da cui si aspetta soddisfazioni e guadagni, appartiene a quella galleria di indimenticabili ritratti di cui è ricco l’universo di Macondo. La sua eroicità semplice e solenne, la sua profonda, dolente verità umana ne fanno uno tra i personaggi più riusciti del grande Gabo.
Foglie morte
Tutti gli autori iniziano da qualche parte. Lui da qui. Questo è il primo romanzo di Gabriel García Márquez, pubblicato nel 1955 e contiene già in sintesi gli elementi storici e mitici, oltre ai personaggi emblematici, del microcosmo di Macondo. La vicenda principale, la storia di un medico straniero che muore suicida, viene raccontata da tre narratori-testimoni (un ragazzo, sua madre, suo nonno). Nonostante l’intrecciarsi delle voci, il romanzo trova una profonda unità nel senso incombente della fine, nell’alone di mistero e di sospensione che sarà una costante dell’opera narrativa del grande Gabo.
Il generale nel suo labirinto
Ecco l’altro grande romanzo di Gabo, il racconto storico su Bolívar, che nessuno ricorda mai. E che invece andrebbe riletto più spesso.
Non ancora vecchio ma stremato dalle malattie, dalle delusioni e dal tradimento, il generale Simón Bolívar, “el Libertador”, l’uomo che ha scosso l’America Latina dal giogo spagnolo, rivive come in un sogno i giorni eroici delle sue battaglie e le appassionate notti dei suoi numerosi amori. Nel lungo viaggio che lo riporta nei luoghi che lo videro trionfatore, Bolívar, ormai morente e circondato solo da un pugno di seguaci, riflette sul fallimento dell’ideale che lo ha perseguitato per tutta la vita: l’unità politica delle terre che lui ha liberato e che gruppi di profittatori dominano ormai senza possibilità di riscatto.
Questo è un romanzo epico e drammatico, velato di una tristezza fatale e pervaso da un poetico senso di ineluttabilità del destino con il quale García Márquez rende onore al più illustre e sfortunato degli eroi del suo paese.
La incredibile e triste storia della candida Eréndira e della sua nonna snaturata
Lungo, lunghissimo titolo per questa affascinante raccolta di storie che passa troppe volte inosservata anche tra gli appassionati dello scrittore colombiano.
Un paese arido e spopolato, bagnato da un mare crudele che lo ricopre di «pattume», improvvisamente pervaso da un insopprimibile odore di rose. Il cadavere di un annegato, dalle dimensioni sovrumane e dalla bellezza travolgente, che approda sulla spiaggia di un minuscolo villaggio caraibico e ne sconvolge per un attimo la lenta vita. Le straordinarie creazioni di Blacamán, ciarlatano e inventore, indovino e taumaturgo, mago e artista.
Queste alcune delle fantastiche immagini che ispirano i sette racconti-fiaba di questa raccolta, testimoni della sempre feconda e felice fantasia di Gabriel García Márquez.
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Addio a Gabo e Mercedes. Gabriel García Márquez e Mercedes Barcha nei ricordi del figlio Rodrigo
Non sarebbe la lista dei migliori libri di Macity se non ci fossero un paio di fuori quota. Ed ecco subito quel che ci serve per ritrovare oltre alla voce anche la persona: Gabo e la sua Mercedes, la moglie Mercedes Barcha, nei ricordi scritti dal figlio Rodrigo.
«Questa volta non ne veniamo fuori». Sono le parole con cui Mercedes Barcha comunica a Rodrigo che suo padre, lo scrittore Gabriel García Márquez, si è ammalato di quello che sembra solo un raffreddore. È la primavera del 2014, “Gabo”, da tempo in lotta contro la malattia, morirà dopo poche settimane. Per cercare di dare un senso agli eventi, in quei giorni Rodrigo inizia a stendere questo memoir: un racconto intimo sull’amore e sulla perdita, un reportage straziante sulla fragilità umana e sulla malattia.
Pagine che ricordano un uomo, sempre pervaso dalla sottile ironia del grandissimo intellettuale, e illuminato dalla figura amorevole di una donna eccezionale. Questo libro è un dono prezioso per tutti i lettori di García Márquez che offre uno sguardo senza precedenti nella vita familiare di un gigante della cultura mondiale del Novecento.
In Colombia con Gabriel García Márquez
L’ultimo libro e l’ultimo fuori sacco è un libro di viaggi che rende conto di una terra che lo stesso Gabo non viveva più, dopo essere andato a vivere prima a Città del Messico e poi a Madrid: la Colombia.
Paradiso terrestre e terra martoriata, luogo di magia e di guerra, di spiriti e di generali: su una mappa che Gabriel García Marquez disegna con confini incerti, questa Colombia è segnata da cammini di stupore che uniscono Bogotà e Napoli, Cartagena e Mosca, Barranquilla e la Luna. Bisogna viaggiare lungo sentieri che costeggiano i luoghi della miseria endemica e del potere illusorio, così come della poesia e della baldoria infinita, antidoti alla solitudine dello scrittore e dei suoi personaggi.
La Colombia è guerra civile, miseria, repressione, lotta; è anche il tempo sospeso di Macondo, paese immaginario, forse, ma non immune dal disordine del mondo. E chi meglio di Gabriel Garda Marquez può cantarla? Un giornalista di formazione, ancorato alla realtà e al tempo stesso prodigioso e ribelle, immerso in un mondo di tradizione e di magia, che non è solo superstizione ma saggezza che arricchisce la realtà.
Alberto Bile Spadaccini segue Gabo nei suoi luoghi, senza forze di gravità e in un tempo imbizzarrito, e ci porta in viaggio tra reportage chimerici e crude finzioni, planando sui tetti di città furibonde abitate da bambine libere e patriarchi prigionieri, delinquenti felici e puttane tristi. Al ritorno, balleremo le canzoni del vallenato e parleremo lingue nuove, per raggiungere dalla stanzetta di Aracataca il mondo intero.
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