La prima domanda che dovremmo sentire il bisogno di farci è: ma “metaverso” è una parola singolare o plurale? Sembra una domanda di lana caprina, da grammar-nazi che si diverte con le spigolature e a rompere le scatole al prossimo, vittima dell’idea che le grammatiche siano prescrittive anziché meramente descrittive. E invece, lo aggiungiamo senza parentesi ma è una brutta notizia per tutti voi grammar-nazi: le grammatiche le fanno le persone parlando, non sono decise da comitati di linguisti nelle loro accademie della crusca o di qualsiasi altro rivestimento o contenuto di cereale.
Metaverso è una parola singolare: non perché non possa essere declinata al plurale, ma perché quella flessione è esclusivamente linguistica, non sostanziale. Un po’ come quando si parla dei numeri: parlando di informatica ad esempio ma non solo, al singolare si dice “lo zero e l’uno”, ma al plurale diventano “gli zeri e gli uni” (ebbene sì) però lo zero è zero e l’uno è uno. La stessa cosa per il metaverso: possiamo parlare dei “metaversi” quando facciamo riferimento al fatto che Apple e Facebook stiano sviluppando ciascuno il suo (e Microsoft anche, e Google anche, e probabilmente Amazon anche), ma in realtà l’idea stessa di metaverso è che sia uno solo che comprende tutto i sistemi. Che sia interoperabile. Altrimenti non è il metaverso, ma un tentativo di creare degli ambienti di realtà virtuale che non si possono collegare tra loro a creare un metaverso. Fine della premessa.
Cosa sta facendo Facebook
La parola “metaverso” è venuta fuori da Mark Zuckerberg, come sappiamo, che ha ripreso un’idea linguistica di Neal Stephenson. Abbiamo stressato molto la dimensione linguistica scrivendo questo articolo perché le parole sono importanti: definiscono i concetti e, soprattutto nel caso di quelli nuovi, creano l’orizzonte mentale all’interno del quale poi ci si trova tutti a muovere. Lo sanno i politici, i pubblicitari, gli esperti di marketing e gli spin-doctor che, usando con la dovuta accortezza e spregiudicatezza le parole, creano mondi che ci delimitano e alle volte ci imprigionano. Nel caso di Facebook il cambio di nome in Meta e l’idea del futuro con il metaverso è stato funzionale a tante cose (incluso il superamento dell’impasse d’immagine dell’azienda, avvolta negli scandali) ma adesso deve “portarla a casa”. Cioè farlo, questo metaverso.
Zuckerberg ha detto che sarà un percorso lungo, decennale, che l’azienda ci sta lavorando sopra, che dentro ci entreranno tutti, basta solo che sia quello di Facebook. Un po’ come le Ford modello T, di tutti i colori possibili basta che siano nere. I vantaggi di Facebook sono la sua capacità di spingere la visibilità di qualsiasi cosa faccia (è il social dove si fa marketing per definizione), la sua ampia riserva di creator, l’infrastruttura proprietaria di grandi dimensioni, la decentralizzazione, il controllo di aziende e startup che si occupano di realtà aumentata, intelligenza artificiale, interfacce, esperienze immersive. I punti di forza sono questi, la debolezza (oltre alla fragilità della sua leadership e agli scandali) è sostanzialmente il modello di business basato sull’estrazione dei dati delle persone e la costante monetizzazione della loro privacy, che passa attraverso algoritmi dannosi per la salute delle persone, soprattutto dei minori, e tossici per la società e la politica. Potrà ancora andare avanti?
Cosa potrebbe fare Apple
Apple ha una ampia comunità di creatori, ha le tecnologie, dai processori al software (Metal per il 3D), la capacità di farsi trovare con un marketing potente, il controllo e l’esperienza nel mondo dell’hardware sino al livello del processore, una buona infrastruttura (anche se inferiore a quella di Amazon, Facebook, Google e Microsoft) e un modello di business molto rispettoso della privacy delle persone costruito attorno alla vendita dell’hardware che si sta espandendo nel settore dei servizi in maniera organica e “sana”.
Cosa combinano gli altri
Da Amazon, che vende di tutto e ha una infrastruttura potentissima ma una esperienza di prodotti hardware hi-tech limitata, a Google che invece ha potenza di fuoco nel cloud paragonabile, controlla un sistema operativo (come Apple) e ha hardware buoni e creatori come se non ci fosse un domani, a Microsoft che ha un cloud spettacolare e hardware di alto livello, oltre a un enorme esercito di creatori e un sistema operativo e mezzo (nel mobile l’azienda ha sposato Android), la concorrenza che cercherà di creare dei metaversi alternativi c’è. Ma saranno parziali, funzioni di metaversi (a parte forse quello di Google) e cercheranno di conquistare degli spazi relativamente ampi in attesa di entrare in quello dominante.
Quando questo succederà ovviamente non lo sa nessuno, anche perché non sappiamo neanche se l’idea stessa di metaverso possa funziona e in che modo. Molti ritengono che sia ottima, altri che sia una tremenda buffonata, quasi uno schema piramidale. Certamente molti ci stanno tuffando montagne di soldi per cercare di conquistare un vantaggio che è invece tutt’altro che dimostrato possa essere utile.
Il modello tecnologico del metaverso
Il punto centrale, dando per acquisito che si possa realmente arrivare al punto di avere un metaverso, è duplice: quali modello tecnologico e quale modello di business.
Partiamo dal primo. Internet è stata costruita come rete di reti che condividono gli stessi protocolli (parlano la stessa lingua) e appartiene a tutti i fornitori di servizio che vogliano partecipare senza che nessuno la domini decidendone da solo le direzioni di sviluppo. La net neutrality è il valore dominante. Su un livello di astrazione maggiore, anche i protocolli della posta e del web sono rimasti liberi, nel senso che vengono decisi in maniera collettiva e che non c’è nessuno che “controlli” la posta o il web, anche se varie aziende ci hanno provato nel corso dei decenni. Pensiamo a Cisco per l’infrastruttura di Internet o Microsoft per il web.
Se il modello tecnologico rimane questo, allora il metaverso diventa la somma degli “universi” digitali creati dai singoli produttori e si potrò passare da un ambito all’altro come oggi facciamo da un sito che offre un servizio (mettiamo la posta Gmail) a un altro che offre un altro servizio (il negozio di Amazon). Ricordiamoci tuttavia che c’è stata la guerra dei browser (il veicolo con il quale si naviga la rete) che poi si è risolta dopo alcune gigantesche indagini anti-trust a Microsoft.
Se invece il modello tecnologico del metaverso sarà quello di Highlander (“ne rimarrà uno solo”), sarà come avere un gigantesco sistema operativo diffuso, una specie di Android o iOS universale, e i vari servizi saranno semplicemente delle app all’interno di questo spazio. O addirittura un recinto blindato stile Facebook con le app che si trasformano in “piccoli giochini” ospitati nelle pagine del grande fratello blu.
In questa seconda opzione, come si è visto in questi mesi con le cause legali per le percentuali e gli abbonamenti intentate da Epic (che peraltro sta cercando di costruire il suo metaverso applicativo trasversale senza pagare dazio a nessuno) il sistema non sarebbe privo di tensioni e contraddizioni.
Il modello di business del tecnologico
L’altro aspetto da determinare è il modo con cui tutto questo funziona. Gli utenti pagano un abbonamento o comunque un po’ di soldi per connettersi alla rete e un po’ di più (o molto di più) per comprare l’hardware che consente loro di farlo. Questa spesa è relativamente limitata e copre una attività enorme di cose: ad esempio i cavi e i ponti radio delle tratte finali di Internet, oppure la progettazione e costruzione di computer, tablet, smartphone, smartwatch e in futuro occhiali e quant’altro.
Di converso, gli “over the top”, le aziende che estraggono più valore, offrono i contenuti e i servizi sopra questa infrastruttura hardware su cui corrono i bit. In alcuni casi sono gli stessi produttori di hardware e reti (le telco sono meno brave, ma aziende come Apple invece hanno la capacità di creare anche servizi di valore sopra il loro hardware) ma più spesso sono aziende ulteriori. Pensiamo ad Amazon o a Netflix, che vendono servizi a pagamento pur non occupandosi della costruzione delle reti e dei televisori o dei lettori di musica. Altri, come Facebook e Google, campano prevalentemente di “pubblicità”, cioè della estrazione e monetizzazione dei dati personali delle persone e delle aziende (e anche della vita pubblica, sociale, della politica, della salute e via dicendo).
Internet in buona parte è gratuita per questo motivo: storicamente i contenuti sono stati messi senza limitazioni (e soprattutto i giornali oggi stanno pagando il conto per questo) mentre chi ha cominciato a fare i soldi sono state poche aziende capaci di prendersi i dati di moltissime persone.
Quale sarà il modello del metaverso? Si pagherà un abbonamento? Se ne pagheranno molti? Sarà un sistema in cui l’importante è esprimere delle preferenze e avere un abbonamento o più di uno? Sarà un sistema “all you can eat” dove però ad essere mangiati in realtà sono i nostri dati e le nostre vite?
In conclusione
Questo non sappiamo dirlo, ovviamente, ma sappiamo che questo è il campo dove si svolge la battaglia oggi e sappiamo anche che, all’opposto, si trovano Apple e Facebook. A seconda di chi vincerà, avremo un metaverso profondamente diverso. Se mai ne avremo uno.