La stragrande maggioranza dei dipendenti Apple è di sinistra, o almeno tende in questa direzione per quanto riguarda le preferenze per le prossime votazioni presidenziali. A mettere in evidenza questa inclinazione politica non è Trump, che il 3 novembre si gioca la poltrona, ma i numeri e soprattutto il portafoglio: secondo i dati compilati da OpenSecrets.org, i contributi dei dipendenti Apple destinati alla campagna elettorale di Joe Biden sono tredici volte maggiori di quelli per l’attuale presidente.
Nello specifico il 94,7% dei contributi dei dipendenti Apple destinati alle elezioni federali è andato ai Democratici, mentre soltanto il 5,3% ai Repubblicani. Per quanto riguarda le presidenziali, le percentuali si attestano al 92,8% per Biden e 7,2% per Trump, rispettivamente per una somma che si aggira intorno ai 529mila dollari per l’uno e 38mila per l’altro.
E la situazione non sembra diversa se si va a guardare quel che fanno i dipendenti di Alphabet, la casa-madre di Google. I dati stilati dalla stessa fonte dicono che il 91,6% dei contributi politici per le federali sono andati ai Democratici, mentre il restante 8,4% ai Repubblicani. Per altro il contributo per le presidenziali, qui è molto più grande: si parla di quasi 1,7 milioni di dollari per la campagna elettorale di Biden, più del triplo di quanto hanno investito i dipendenti Apple.
Anche i contributi elettorali dei dipendenti Microsoft sono principalmente tinti di blu: l’83,9% ha destinato i propri contributi ai Democratici, contro il 16,1% che invece hanno raccolto i repubblicani per le elezioni federali del ciclo 2020.
E’ interessante notare che Apple, Alphabet e Microsoft non hanno investito neppure un centesimo per questa campagna elettorale: tutti i contributi elencati provengono interamente dai rispettivi dipendenti. Anche perché le stesse multinazionali potrebbero avere un parere diverso in merito. Giusto pochi giorni fa la sottocommissione antitrust degli Stati Uniti, guidata appunto dai Democratici, ha pubblicato un documento molto critico nei confronti di Apple, Alphabet, Amazon e Facebook.
Prima tra tutte, l’accusa di monopolio che grava su Apple che, attraverso il suo sistema di distribuzione dei software su iOS tramite App Store, avrebbe provocato danni alla concorrenza, riducendo la qualità e l’innovazione degli sviluppatori nonché aumentando i prezzi e riducendo le opportunità di scelta dei consumatori. Al contrario, i Repubblicani non sono d’accordo sul come i loro rivali trattino i giganti della tecnologia.
Ma accantonando la distinzione tra dipendenti Apple di sinistra o destra, così come per Google e Microsoft, i contributi maggiori destinati a sostenere di Biden possono essere più semplicemente letti come una critica alla presidenza Trump. Un mandato segnato per i colossi della tecnologia e non solo da una intensa guerra commerciale contro la Cina, nuovi dazi e limitazioni per contratti e forniture con società cinesi, revoca di permessi e agevolazioni per lavoratori che provengono dall’estero, tensioni sociali e razziali.
Ma se il sostegno a Biden era prevedibile da parte della Silicon Valley e dei suoi lavoratori, per lo più concentrati nelle terre liberali di San Francisco e California, i rischi rimangono anche con il nuovo candidato a Presidente USA. Partono infatti proprio dai democratici le principali critiche ai colossi hi-tech, le indagini con le accuse di monopolio e persino l’eterna minaccia (ora non proprio latente) del possibile smembramento dei colossi in società più piccole e meno potenti.