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I Big del Tech si stanno mangiando l’Africa

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L’Africa è il continente giovane del nostro pianeta. E il meno sviluppato economicamente. Il continente, che oggi ha una popolazione di quasi 1,4 miliardi di persone, secondo l’Africa Development Forum nel 2050 ospiterà nell’area Sub-Sahariana più di metà della crescita della popolazione mondiale. Un boom demografico enorme in controtendenza rispetto al resto del pianeta, dove invece si invecchia sistematicamente: Europa, parte dei continenti Americani, Asia.

Invece l’Africa, già nel 2030, secondo le stime del World Economic Forum, avrà una popolazione attiva stimata di circa 600 milioni di persone. E sono tutti giovanissimi, già oggi. In Kenya, uno degli stati più sviluppati economicamente, l’età media è di 19 anni. In Africa di 22-25. Il 60% degli africani ha meno di 25 anni.

Se c’è una cosa chiara è che la tendenza demografica. Il suo impatto sul mondo del lavoro lo è altrettanto: l’Africa sta sbocciando socialmente ed economicamente. È un processo inevitabile, soprattutto man mano che migliorano la formazione e aumenta l’accesso alla rete. E si aprono così una serie di possibili futuri, forme di sviluppo inedite che devono essere modellate.

Gli investimenti cinesi

Sopra questo si giocano due battaglie economiche, una nota da tempo e un’altra molto più recente. La prima è il ruolo della Cina, che sta investendo pesantemente sul continente africano. Seguendo la misura degli investimenti esteri diretti, cioè le iniezioni di capitale per fare cose o comprare società, lo stock cinese in Africa si è centuplicato, passando da 490 milioni di dollari nel 2003, raggiungendo un picco di 46,1 miliardi di dollari nel 2018 e scendendo a 43,4 miliardi di dollari nel 2020.

Quella cinese è una corsa all’oro, alle materie prime, allo sviluppo di un mercato dove poter far crescere ad esempio economie in grado di svolgere quei lavori che presto, nella logica dello sviluppo continuo, la Cina continentale non vorrà più svolgere. E dare riserve di materie prime, terre rare, lavoratori. Nel 2021, in occasione del Forum sulla cooperazione Cina-Africa (FOCAC), la Cina si è impegnata a stanziare 10 miliardi di dollari in investimenti diretti privati per il periodo 2022-2025.

Le grandi reti

Tuttavia, quella che ci interessa qui è l’altra battaglia, quella per internet. Perché possiamo essere scettici quanto vogliamo, criticare i social, denigrare i blog, minimizzare la serietà del modello delle startup e di una rete votata all’intrattenimento spesso fine a se stesso, tuttavia Internet ha dimostrato di essere il singolo più grande fattore di potenziamento sociale nella storia dell’umanità, superiore alla stampa a caratteri mobili.

E oggi le porte di internet per il continente africano sono in mano ai big del tech. Perché i cavi sottomarini, cioè le grandi dorsali che trasportano l’informazione, sono tutte loro. E sono poche e mal gestite, perché bastano pochi incidenti e salta tutto. Come abbiamo visto negli scorsi mesi quando due incidenti separati hanno accecato momentaneamente interi pezzi del continente, arrivando al paradosso di spegnere internet mentre si teneva l’Africa CEO Forum, mini-Davos africano organizzato dal media Jeune Afrique.

L’edizione si è tenuta a metà maggio a Kigali, in Ruanda, ed è stata quasi fatta senza rete, intesa come rete internet. Questo perché il 12 maggio due cavi sottomarini sono stati danneggiati in Africa orientale, causando importanti interruzioni in Kenya, Tanzania, Uganda e appunto Ruanda.

L’Africa è più esposta del resto del mondo a queste problematiche? La maggior parte del traffico Internet globale passa attraverso cavi in fibra ottica posati sui fondali marini. Gli incidenti sono frequenti in tutto il globo. Ma se le interruzioni sembrano influenzare più in particolare il continente è perché la sua resilienza è più debole. In altre parole, l’infrastruttura è meno estesa che altrove, che si tratti del numero di cavi o punti di collegamento che servono e collegano ciascuno dei paesi.

La lezione dell'internet africana per il resto del mondo
Mappa cavi sottomarini – SubMarineCableMap

Cosa succede veramente in Africa

I grandi osservatori dell’economia mondiale però hanno capito molto bene quali sono i problemi in questo momento. E lo stanno dicendo. Nonostante i “vuoti” derivanti dall’interruzione dei servizi, la dipendenza dell’Africa dal digitale continua ad accentuarsi. L’Internet mobile sta progredendo più velocemente che in qualsiasi altra parte del mondo. E molte aziende, fino alle più piccole che operano si microscala come i piccoli negozi di quartiere o i banchi ambulanti dei mercati, non possono più fare a meno della rete per servire i loro clienti.

Il digitale si è affermato come un motore indispensabile per “creare reddito e posti di lavoro” e “ridurre la povertà”, ha detto Makhtar Diop, presidente della International Financial Society (SFI), una filiale della Banca Mondiale dedicata al settore privato, durante un panel a Kigali.

In realtà, negli ultimi anni sono stati fatti enormi progressi per equipaggiare la regione con moltissima banda passante. Il pre-requisito per poter digitalizzare il continente. E le iniziative sono state messe in campo dai giganti del settore tech. Ad esempio “Equiano”, il cavo di 15mila chilometri costruito da Alphabet tra Portogallo e Sudafrica. Oppure “2Africa”, colossale progetto di 45mila chilometri che fa il giro del continente, creato da un consorzio guidato da Meta. Il flusso dei dati in Africa, cioè la capacità di comunicare con il resto del mondo, potrebbe aumentare di sei volte tra il 2022 e il 2027, secondo le stime della SFI.

La logica del colonialismo digitale

Tuttavia questi enormi investimenti e cantieri infrastrututrali non fanno altro che dare il via a una fase pericolosissima per l’economia e la società africana: il colonialismo digitale. Simmetricamente agli investimenti cinesi, questi giganteschi investimenti per colmare il divario digitale del continente stanno creando un altro tipo di vulnerabilità: quella legata alla regolazione e al controllo dei dati.

In un mondo in cui i dati sono un nuovo petrolio, in pratica l’Africa non avrà voce in capitolo e saranno altri, cioè i Big Tech, a monopolizzare l’infrastruttura Internet. C’è un enorme dibattito in corso sull’argomento, a partire da un recente documentario fatto dalla Fondazione Mozilla, ma anche articoli sulle testate internazionali, che si interrogano su un punto: il modello di sviluppo digitale dell’Africa è improntato a una “logica coloniale” da parte dei big del tech? A quanto apre la risposta è positiva.

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