Hugh Hefner è morto a 91 anni. Molti associano l’editore e fondatore di PlayBoy al “nudo artistico” ma tra i suoi meriti, certamente da annoverare il suo continuo rifiuto del finto perbenismo borghese e del moralismo che sconvolse l’America puritana. Playboy è stata da sempre pensata pensata per il pubblico maschile facendosi notare (in particolare agli inizi) anche per le interviste mensili a personaggi celebri, conversazioni divenute famose per il loro livello di approfondimento.
Fra le tante celebrità intervistate nel corso degli anni da Playboy, anche Steve Jobs nel febbraio del 1985. L’intervista di David Shef (stesso anno di nascita di Jobs) giungeva all’epoca del trionfo del co-fondatore di Apple, successo meritato dopo il lancio del Macintosh 128K. Jobs all’epoca (neanche 30enne) cominciava a combattere una battaglia personale con il CEO di allora, John Sculley, l’uomo arrivato dalla Pepsi Cola (convinto da Jobs) che da li a poco mise in minoranza il co-fondatore di Apple esautorandolo da qualsiasi decisione strategica e costringendolo ad abbandondare l’azienda (tornerà a Cupertino 12 anni dopo, quando i vari dirigenti si resero conto che non si poteva fare a meno della sua genialità.
Interessanti alcuni spezzoni dell’intervista dell’epoca, riportati da CultOfMac e altri siti ancora. Jobs parlava della tecnologia e dei computer in generale come qualcosa di rivoluzionario (tenete conto che stiamo parlando di 32 anni addietro): «Stiamo vivendo sulla scia della rivoluzione petrolchimica di 100 anni fa. La rivoluzione petrolchimica ci ha dato energia libera, energia meccanica libera. Questo ha cambiato il tessuto della società in tanti modi. Ma quella che stiamo vivendo oggi è un’altra rivoluzione, la rivoluzione informatica. Anche questa ci darà energia libera, ma di un altro tipo: energia intellettuale, forse oggi ancora “grezza”, ma il nostro computer Macintosh richiede meno energia di una lampadina da 100 watt per funzionare e ci permette quindi anche di risparmiare. Già questa è un’innovazione. E chi lo sa che cosa sarà in grado di farci fare tra dieci, venti o 50 anni? Questa rivoluzione farà impallidire la rivoluzione petrolchimica. E noi della Apple siamo in prima linea».
Quando fu fatta l’intervista a Jobs, negli USA aveva fatto clamore il caso Edwin Land, geniale fondatore della Polaroid cacciato dalla stessa azienda. Il giornalista di Playboy chiese a Jobs un commento, senza ovviamente pensare che quest’ultimo avrebbe vissuto, da lì a pochi mesi, la stessa esperienza. «Lo sappiamo tutti, il Dott. Land era un piantagrane – risponde Jobs -. Allo stesso tempo, però, è una delle più grandi menti della nostra epoca. Anzi, di più. È l’uomo che ha colto l’intersezione tra arte, scienza e business e ci ha costruito sopra un impero. La sua cacciata dalla Polaroid, la sua azienda, è una delle cose più stupide a cui abbia mai assistito. A 75 anni è tornato ad applicarsi sulla scienza pura… Non capisco perché uomini del genere, in America, non vengano considerati dei modelli. È un tesoro nazionale, altro che un astronauta o uno sportivo».
Già allora si discuteva del perché i prodotti Apple fossero più cari di altri. Jobs spiegava:: «Forse un giorno saremo in grado di produrre schermi a colori per un prezzo ragionevole. Quanto al sovrapprezzo, il lancio di un nuovo prodotto prevede sempre costi più alti di quelli che ci saranno in seguito. Più saremo in grado di produrre, più basso sarà il prezzo proposto al pubblico…». Per quanto riguarda l’accusa dell’epoca di attirare gli appassionati con prezzi elevati, abbassando in seguito i prezzi per conquistare il mercato, Jobs respinse al mittente l’insinuazione: «Questa è una sciocchezza. Appena possiamo abbassare i prezzi lo facciamo. È vero che oggi i nostri prodotti sono meno cari rispetto a un anno fa, ma questo vale anche per i computer IBM. Il nostro vero obiettivo è cosnentire a decine di milioni di persone di essere in possesso di un computer. Più economici saranno i pc, più sarà facile raggiungere l’obiettivo. Mi piacerebbe che un Mac costasse mille dollari in futuro». Oggi un Mac costa circa mille dollari (dipende dal modello) e nelle case di milioni di persone troviamo almeno un prodotto Apple”.
Celebre anche la frase di Jobs sulla aziende storiche “uccise” da Apple. “È inevitabile che accada questo. Io penso che la morte sia la più bella invenzione della vita (un concetto che Jobs ripetè anche durante il celebre discorso di Santford NDR). La morte elimina i vecchi modelli, oramai obsoleti. Penso che eliminare ciò che è obsoleto sia seriamente una delle sfide più importanti della Apple. Noi siamo disposti ad abbandonare i vecchi modelli e per questo sono convinto che faremo meglio degli altri. Perché siamo consapevoli di stare facendo qualcosa di nuovo e incredibile e abbiamo reso tutto questo la nostra priorità».
Oggi sembra del tutto normale in aziende come Google, Facebook e tante altre del mondo IT lavorare in ambienti non convenzionale. Non lo era certamente all’epoca e l’intervistatore rimase affascinato e stupito: «Gli uffici della Apple sono nettamente diversi da tutti gli altri. Ci sono videogiochi, tavoli di ping pong per tutti, altoparlanti che diffondono i Rolling Stones e il jazz della Windham Hill. Le sale conferenza hanno nomi inusuali, come Da Vinci o Picasso e i frigoriferi per i dipendenti sono ricolmi di verdura e frutta fresca, oltre che di succo d’arancia. Solo il team che lavora sul Mac spende 100mila dollari all’anno in succo d’arancia fresca».
Pazzesco (con il senno di poi) lo scetticismo dell’epoca sul mouse. In un sondaggio condotta da PlayBoy all’epoca dell’intervista, il mouse a quanto pare era ritenuto dalle persone uno strumento poco efficente. Jobs scosse la testa, spiegando: «Abbiamo fatto una marea di test e studi sulla questione mouse e siamo giunti alla conclusione che il suo uso velocizza le funzioni dei computer. Forse, un giorno, non ne avremo bisogno. Ma sui computer è necessario».