In occasione del lancio dei nuovi iPhone, a Hong-Kong alcuni manifestanti puntano il dito contro le condizioni di lavoro di chi costruise gli smartphone per conto di Apple. La locale associazione per i diritti dei lavoratori Sacom (Students and Scholars Against Corporate Misbehavior), ha esposto uno striscione sulla parte superiore di uno store dell”IFC Mall, un negozio che si affaccia su importanti vie di comunicazione in una zona di forte passaggio e grande visibilità. Il messaggio gioca con il nuovo slogan usato da Apple per l’iPhone (“iPhone 6, Bigger than bigger”), diventato per l’occasione “iSlave 6 Harsher than Harsher” seguito dalla foto dello smartphone e dalla dicitura “Still made in sweatshop”, sostenendo insomma che i dispositivi sono fabbricati in veri e propri “laboratori clandestini”.
L’associazione Sacom ha pubblicato un rapporto (qui, il documento in PDF) con un aggiornamento sulle condizioni di lavoro presso Pegatron, società appaltatrice che si occupa dell’assemblaggio dei dispositivi per conto di Apple. Nel documento sono raccolte le testimonianze di 103 dipendenti occupati in tre diversi siti, rilasciate tra ottobre dello scorso anno e agosto 2014. Sacom spiega che Pegatron arriva a impiegare 80.000 persone nei periodi di punta e che l’età media dei lavoratori varia dai 18 ai 25 anni. Le critiche riguardano vari punti: orari di lavoro (i dipendenti lavorano fino a 10 settimane di seguito senza pause di neanche un giorno, anche per 12 o 15 ore al giorno), sicurezza (assenza di elementi di protezione per i lavoratori che manipolano sostanze chimiche), impossibilità di licenziarsi (chi ha voluto farlo, ha dovuto attendere almeno 15 giorni prima di avere una risposta e quando questa arriva spesso non sono stati pagati o restituiti documenti), uso oltre il normale di lavoratori assunti a tempo determinato.
Sacom non critica solo Apple ma anche grandi nomi dell’abbigliamento che fabbricano i loro prodotti in Cina come ad esempio Hollister (marchio di Abercrombie & Fitch), Gap, Levi’s e H&M.
