Google ha chiesto alla Food and Drug Administration statunitense, siglata FDA, la revisione del suo algoritmo di monitoraggio passivo della frequenza cardiaca passiva di Fitbit. Prima di poter arrivare a questo la società ha seguito attentamente uno studio su larga scala, che è stato lanciato a maggio 2020 ed aperto a tutti gli utenti Fitbit, purché risiedessero negli USA e avessero più di 22 anni.
Chi aderiva poteva testare i propri dispositivi Fitbit per il rilevamento della fibrillazione atriale o irregolarità nel ritmo cardiaco, consentendo di conseguenza a Google di testare la precisione dei suoi algoritmi, il cui sistema si basa sull’utilizzo della fotopletismografia per tracciare passivamente il flusso sanguigno nel polso e determinare se ci sono problemi.
Dopo un anno e mezzo di prove l’azienda è riuscita a creare una struttura che fosse capace di identificare con precisione la fibrillazione atriale nel 98% dei casi, di conseguenza i risultati dello studio sono stati dapprima presentati all’American Heart Association e, subito dopo, alla FDA per l’approvazione e la distribuzione su larga scala.
Due anni fa lo smartwatch Sense di Fitbit fu approvato dallo stesso ente per la sua capacità di valutare la fibrillazione atriale usando il sistema di elettrocardiogramma integrato, che tuttavia richiede un input attivo da parte dell’utente.
Il nuovo sistema di monitoraggio passivo della frequenza cardiaca di FitBit per cui invece google ha richiesto la revisione viene eseguito in background, lasciando quindi che sia il sistema a tenere costantemente sotto controllo il flusso sanguigno, anziché farlo soltanto si richiesta manuale dell’utente che indossa l’orologio.
Oltre a questo, Google sta lanciando alcuni strumenti per l’assistenza sanitaria: ad esempio attraverso il sistema di ricerca di Google negli USA sarà presto possibile scoprire se ci sono posti disponibili per prendere appuntamento dal medico o dalle cliniche private della zona. Inoltre Big G sta lanciando una serie di pannelli informativi sulle fonti sanitarie per i video di YouTube in Giappone, Brasile e India con l’obiettivo di ridurre la disinformazione che circola attraverso la piattaforma.