La questione del cosiddetto “diritto all’oblio” sta creando qualche grattacapo a Google. La Corte di giustizia dell’Unione Europea il 13 maggio 2014 ha stabilito che i cittadini europei hanno il diritto di chiedere ai motori di ricerca di eliminare delle loro pagine dei risultati i link che includono il loro nome. Per essere rimossi, i risultati visualizzati dovrebbero essere “inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti, o eccessivi”.
Nell’ambito della normativa europea sulla protezione dei dati, Google da fine giugno ha attivato delle funzionalità specifiche per cercare di uniformarsi e da un po’ di tempo è possibile presentare una richiesta di rimozione compilando un modulo web.
L’azienda di Mountain View non è ovviamente felice della decisione della Corte di giustizia; Larry Page, fondatore della società, nel corso della Google I/O ha parlato della necessità di sviluppare soluzioni più pratiche, bollando sostanzialmente come inutile il provvedimento della corte di giustizia. Secondo Page, infatti, basta usare una versione non europea del motore di ricerca per ottenere tutti i risultati che era possibile ottenere prima. Google cerca anche di dimostrare l’incoerenza della norma, evidenziando controversie nel diritto a essere dimenticati. Si cita ad esempio, il caso di Stanley O’Neal, ex capo della banca Merryll Lynch che ha voluto rimuovere i collegamenti ad articoli sulla sua cattiva gestione prima e durante la crisi dei mutui subprime; altro caso è quello dell’ex arbitro scozzese Dougie McDonald, che si è dimesso nel 2010 dopo le polemiche per un rigore assegnato nella partita tra Dundee e Celtic. Si tratta in tutte e i due i casi di esempi ampiamente trattati dalla stampa che non si capisce perché non si dovrebbero trovare sul web, evidenziando perplessità e dubbi sulla faccenda.
David Drummond, responsabile del dipartimento legale di Google, ha scritto un editoriale sul Guardian, spiegando il parere della società sulla questione, un delicato equilibrio tra privacy e libertà d’informazione. Per spiegare il suo punto di vista Drummond cita la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e in particolare l’articolo 19 il quale stabilisce che “ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”.
“Quando si effettua una ricerca online” spiega Drummond, “si parte dal presupposto che si otterrà una risposta immediata, nonché ulteriori informazioni per eventuali approfondimenti”.
“Nel decidere cosa rimuovere” continua, “i motori di ricerca devono tenere in considerazione anche il pubblico interesse”. “Questi sono, ovviamente, criteri vaghi e soggettivi. Il tribunale ha deciso che i motori di ricerca non si qualificano per una “eccezione giornalistica”. Questo significa che un giornale potrebbe avere sul suo sito web un articolo su un individuo, perfettamente legale, ma noi potremmo non essere in grado di mostrare legalmente i collegamenti a quell’articolo nei nostri risultati quando si cerca il nome di quella persona. È un po’ come dire che un libro può stare in una biblioteca, ma non può essere incluso nel catalogo della biblioteca”.
“È per queste ragioni che non siamo d’accordo con la sentenza” dice Drummond. Nel frattempo, da maggio a oggi, Google ha ricevuto oltre 70.000 richieste di “oblìo” riguardanti almeno 250.000 pagine web, richieste che rendono difficile per l’azienda decidere e valutare l’applicazione del diritto, trattandosi nella maggior parte dei casi di tematiche e pagine controverse come “ex politici che vogliono rimuovere messaggi che criticano le loro azioni; criminali violenti che chiedendo la rimozione di articoli sui loro crimini; recensioni negative per professionisti come architetti e insegnanti, commenti che le persone hanno scritto e ora vogliono rimuovere”.
“È una questione complessa” dice ancora Drummond, “senza facili risposte”. “Per questo un vivo dibattito è benvenuto e necessario; su questo tema, nessun motore di ricerca ha una risposta immediata o perfetta”.