Google ha annunciato che abbandonerà il motore di rendering WebKit per sfruttare un engine proprietario denominato “Blink” (un fork del Webkit). La società ha usato per anni in Chrome il motore creato inizialmente da Apple ma ora afferma di avere la necessità di passare a un engine che semplifichi lo sviluppo e segua di pari passo l’architettura multi-processing di Chromium.
Per il momento gli sviluppatori non noteranno differenze tra sviluppare per il browser che usano il WebKit e Blink. La grande “G” ha fatto sapere che stima di eliminare 7.000 file e fino a 4.5 milioni di linee di codice, ottenendo un motore più stabile e diminuendo le vulnerabilità. Anche gli sviluppatori del browser Opera hanno deciso di seguire Google e dopo aver prima annunciato il supporto per il WebKit hanno nelle ultime ore cambiato idea. A febbraio di quest’anno, Tristan Nitot, presidente di Mozilla Europa, alla notizia della scelta del WebKit da parte di Opera aveva scritto che era “un giorno triste per il web” evidenziando come tale decisione significasse meno diversità per i rendering engine e il rafforzamento di quella che è definita la monocultura del WebKit sul versante mobile, rendendo difficile favorire standard diversi.
Sviluppato come framework a partire da OS X 10.2.7, il progetto del Wekit, lo ricordiamo, nacque come un fork open source combinando componenti del sistema grafico KDE e tecnologie Apple. Il primo progetto reale in grado di sfruttare l’engine richiese tempo e solo nel 2003 (nel corso del MacWorld Expo di San Francisco) Apple annunciò la prima beta di Safari. Il progetto, già all’epoca maturo e stabile, nel 2005 (in coincidenza con il WWDC di quell’anno) divenne totalmente open source, offrendo l’accesso al CVS e al tool Bugzilla. Tra i tanti partner importanti che hanno in seguito supportato e creduto nel WebKit, ricordiamo Nokia, Adobe, RIM e Google (quest’ultimo il partner che ha offerto il più elevato numero di contributi). Il WebKit è oggi è il motore per browser più usato al mondo e vanta oltre il 40% delle quote di utilizzo.
[A cura di Mauro Notarianni]