A gennaio di quest’anno Sonos ha citato in giudizio Google affermando che Big G sfrutta cinque brevetti di sua proprietà per gli speaker che commercializza e chiedendo la messa al bando di tutti i dispositivi Google che sfruttano sue tecnologie per gli altoparlanti multi-stanza, inclusi smartphone, laptop e ovviamente speaker.
Ora è Google a controdenunciare Sonos per la presunta violazione di cinque brevetti legati al digital rights management (DRM, gestione dei diritti digitali), notifiche sulla disponibilità di contenuti, ricerche personalizzate in rete, echo e noise control e reti mesh.
The Verge riporta quanto contestato da Google nella citazione in giudizio presentata presso il tribunale distrettuale degli Stati Uniti nel distretto Nord della California. “Sonos ha riportato false affermazioni sul lavoro condiviso dell’azienda e le tecnologie di Google nella citazione in giudizio intentata contro Google all’inizio dell’anno”, si legge nel documento. “Benché raramente fa causa ad altre aziende per violazione di brevetti, Google vuole far valere in questo caso la sua proprietà intellettuale”.
Nel documento si cita la “continua collaborazione con Sonos” risalente al 2013. “Google è orgogliosa della sua partnership di oltre cinque anni con Sonos, e ha lavorato in modo costruttivo con Sonos affinché i prodotti dell’azienda funzionassero senza problemi creando una speciale integrazione”.
L’elemento portante delle causa è l’affermazione di Sonos secondo la quale Google avrebbe rubato tecnologie di Sonos quando le due società hanno cominciato a collaborato nel 2013. All’epoca la presunta intenzione di Google era di creare un servizio musicale funzionante con gli speaker multiroom di Sonos; per permettere a Google di fare questo, Sonos ha fornito i progetti di sue tecnologie brevettate. Google non solo ha creato suoi smart speaker ma anche sovvenzionato i propri prodotti per venderli a prezzo più economico di quelli del concorrente, impedendo a Sonos di continuare a mantenere in piedi un sistema che faceva affidamento a Google.
I rapporti tra Google e Sonos si sarebbero inaspriti quando Sonos ha cominciato a creare speaker che potevano funzionare con altri assistenti vocali oltre ad Assistente Google. L’azienda che sviluppa e produce sistemi di altoparlanti attivi e componenti hi-fi, riferisce di avere cercato di appianare le divergenze dal 2016 (quando fu rilasciato il primo speaker Google Home) ma senza risultati.
Sonos è sempre stata una pioniera nell’audio di rete (ha inventato il sistema audio wireless multi-stanza per la casa) ma i suoi speaker sono stati messi in ombra negli ultimi anni dagli altoparlanti smart Google Home e dagli Amazon Echo, venduti a una frazione del costo rispetto agli speaker Sonos, permettendo ai concorrenti di invadere il mercato con dispositivi il cui obiettivo non è guadagnare con gli speaker ma legare gli utenti ai rispettivi ecosistemi.
Le frizioni tra Sonos e Google potrebbero spiegare il ritardo con il quale Sonos ha reso disponibile Google Assistant sui suoi speaker tramite aggiornamento. Con l’update di novembre dello scorso anno ora è ad ogni modo possibile usare il comando vocale di Assistente Google integrato su Sonos Move, Sonos One e Sonos Beam e sulla nuova Sonos Arc (recensita qui) oppure con un prodotto Google Home connesso per riprodurre una canzone, mettere in coda i programmi TV, ascoltare le previsioni meteo e controllare la smart home.
Patrick Spence, CEO di Sonos, sentito da ZDNet sulla questione ha parlato senza mezzi termini di “mascalzoni” che, anziché affrontare la questione in merito, e pagare per ciò che hanno ottenuto, pensano a usare la loro dimensione e grandezza per scovare aree che permetta loro di reagire all’attacco. “Come abbiamo visto in passato e più recentemente con Zoom, Google sembra semplicemente non avere vergogna nel copiare le innovazione di piccole aziende americane, nel tentativo di estendere il loro monopolio su ricerche e pubblicità su nuove categorie”.