Tre dopo l’arrivo della tecnologia di encoding WebM di Google, proposta come alternativa gratuita e open all’esistente H.264 supportata da Apple, Microsoft e altri, la casa di Mountain View ammette che la posizione assunta sinora era sbagliata e di essere pronta a pagare i brevetti infranti da WebM.
Annunciato a maggio del 2010, il codec è stato il frutto dell’acquisizione un anno prima di ON2 Technology, la società che aveva sviluppato il software originario. Si tratta di un formato contenitore basato su Matroska, pacchettizzato con il video VP8 e lo stream audio Ogg Vorbis, sfruttabile anche su dispositivi non eccessivamente potenti quali netbook, tablet e smartphone; i profili di encoding sono personalizzabili e consentono di limitare la qualità nella fase di creazione dei file. Il formato è open source, distribuito con un modello di licenza tipo BSD esente dal pagamento di royalty, come invece richiesto dal sistema commerciale di licensing H.264. Sin dall’inizio l’organizzazione MPEG LA aveva annunciato di aver individuato nel codice del codec concorrenti brevetti di sua proprietà, dando il via a una battaglia che è ora terminata con l’ammissione di colpa da parte di Google.
Problemi legali a parte, WebM non è riuscito sinora ad attirare significativamente l’attenzione di terze parti. D’altra parte, sin dall’inizio alcuni sviluppatori avevano mostrato dubbi: Jason Garrett-Glaser, sviluppatore indipendente conosciuto come “Dark Shikari” e autore del progetto open source X264 (per la codifica di video H.264) a maggio del 2010, scriveva che le perplessità potevano essere riassunti in tre punti-chiave: la bontà delle specifiche (le indicazioni dettagliate su come la tecnologia dovrebbe funzionare), la qualità dell’implementazione (il codice che esegue il lavoro) e sull’effettiva esenzione di problemi legati a brevetti proprietari.
“Le specifiche” scriveva Garrett-Glaser “consistono in gran parte in codice C incollato dal sorgente VP8 e arrivano a includere parti da completare, ottimizzazioni e hack” che poco hanno a che fare con delle vere descrizioni analitiche (“le specifiche non si realizzano”, scriveva lo sviluppatore “copiando e incollando codice in C”). “Ho espresso perplessità in merito alla prolissità delle specifiche H.264” dice Garret-Glaser “ma almeno queste sono precise”. Le specifiche VP8, al contrario, sono “lacunose, poco chiare, insufficienti” e manca la descrizione di varie parti. In alcuni punti non sono esplicitamente indicate determinate caratteristiche rimandando a parti di codice altamente ottimizzato “impossibile da comprendere senza riferimenti o altre spiegazioni”.
Lo sviluppatore osservava inoltre che, nonostante ON2 affermasse che il suo codec era il 50% migliore di H.264, tali affermazioni erano “assurde”, non sono erano mai provate e tale percentuale era sicuramente sbagliata.
Google sembra ora intenzionata a proporre un successore denominato VP9 (ha ottenuto da MPEG LA l’utilizzo in sub-licenza di alcune tecniche anche per l’uso in codec VPx video di prossima generazione). Il resto del mondo nel frattempo si prepara a supportare l’MPEG di futura generazione, H.265: a gennaio di quest’anno, l’International Telecommunication Union (ITU) ha approvato lo standard video che dovrebbe prendere il posto dell’attuale H.264 e che promette di riprodurre video ad alta risoluzione con un consumo di banda dimezzato rispetto al precedente.