Un blogger ci scherza sopra: tra le cinque cose da fare quando Gmail non funziona (una è mandare segnali di fumo, in alternativa) mette anche “Scrivere le cinque cose da fare quando Gmail non funziona, tanto senza Gmail non posso lavorare”. à questo il limite e la forza della rete in una sola battuta: ironia e l’emergere di un problema legato al cloud computing di cui sentiremo sempre più spesso parlare.
Chi usa Gmail non lo fa solo per il tempo libero, ammesso che poi il tempo libero nella nostra società sempre più frammentata e liquida sia un concetto che ha ancora senso. Invece, ci vive letteralmente dentro. E quando come oggi il servizio va in tilt per qualche ora, da una sponda all’altra dell’Atlantico ci si mettono a milioni nel dire che è scoppiata l’emergenza. Un po’ come i grandi blackout che lasciano al buio intere nazioni, insomma.
Su Twttter (che pochi mesi fa ebbe un problema analogo, durato quasi due giorni, e poi è stato successivamente mandato in tilt di nuovo questa estate da un proditorio attacco di hacker/cracker politici) quello di Gmail in crisi diventa addirittura un topic caldo: segno che milioni di persone cinguettano il problema. E anche nei blog scoppia la corsa alla segnalazione del problema, seguita poi dall’emergenza “cosa faccio adesso?” e “quanto durerà ?”
Il problema di Google in realtà dura poco e si può vericare rapidamente andando a scartabellare tra i meandri del motore di ricerca, che ospita una pagina in cui viene data la storia dello status dei suoi servizi. Bisognoso di riparazioni quello di Gmail per oggi, come si vede. Ma poteva andare peggio. A febbraio Gmail andò in ginocchio più a lungo.
Gli errori offerti dai server dei Googleplex sono stati i canonici Error 503 ed Error 500. Tradotto dal criptico linguaggio degli iniziati, si tratta di due classici “errori interni” dei server: vale a dire quando un web server banalmente non riesce a dare una riposta alla richiesta da parte di un client in rete (e in questo caso significa che dietro era saltato il database della posta elettronica di Gmail). Infatti, come specifica l’errore 503, il server non riesce a contattare un application server interno che fornisce il servizio. La soluzione? In teoria, riavviare, sperando che dopo vada tutto bene. Ma per Google si tratta di riavviare alcune migliaia di server, operazione un po’ più complessa che non spegnere e riaccendere un computer.
Questo dimostra quanto l’era del cloud computing, cioè dei servizi evoluti e dei mashup in rete che si manifestano sul singolo computer a prescindere (tutta la posta in rete come su Gmail, oppure i blog e via dicendo, mentre in sede locale non c’è niente se non un browser con cui accedere ai servizi stessi) hanno un gigantesco limite: cosa succede quando non funziona il collegamento o il server va giù? à il single point of failure, il singolo punto debole che può far crollare tutta la struttura. Come si vede nelle giornate andate male come oggi.