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Gli sviluppatori? Si estingueranno, parola del Ceo di GitHub

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La retorica dei nostri tempi moderni nonché digitali vuole che il mestiere del futuro sia scrivere codice. Una sorta di nuova arte, all’incrocio tra la matematica e la logica, il mestiere del futuro. Una volta si mandavano i figli a fare giurisprudenza, “che con quella cadi sempre in piedi”, dicevano le nonne. Oppure, ancora meglio, medicina, perché “l’hai mai visto un medico povero?”. Ecco, oggi li mandiamo tutti a fare informatica, o meglio ancora li andiamo a stanare alle medie, alle elementari, e gli insegniamo a programmare in C++, in Python, in Swift, in qualsiasi cosa basta che i dirigenti ministeriali che autorizzano i piani, degli analfabit totali per la maggior parte, vedano schermi neri con caratteri colorati e pensino “Questa sì che è una roba da hacker!”. Ecco, attenzione perché c’è un problema.

Una delle ragioni del successo dei computer nella nostra società è che, debitamente programmati, gli elaboratori elettronici sono in grado di fare tutto e meglio. Sono più efficienti, abilitano cose che prima non potevano funzionare. La famosa frase “Il software si sta mangiando il mondo” viene proprio da questo: senza software non funziona più niente o quasi. Dalla macchina fotografica all’impianto industriale, passando per la logistica, i sistemi di prenotazione di un biglietto di treno o aereo, e la gestione di qualsiasi attività minimamente complessa. Per adesso parliamo di grandi sistemi o di apparecchi elettronici, ma il processo di digitalizzazione ed efficientamento procede a ritmo serrato (in Europa si chiama Industria 4.0, negli Usa Digitalization) e prevede ad esempio la internet of things, i wearables e la domotica come soglie critiche grazie alle quali praticamente verrà superato ogni limite analogico della nostra vita e della nostra società.

estinzione sviluppatori

Ecco che arriva però la cattiva sorpresa: se il computer è tanto bravo ad automatizzare e gestire così tante attività diverse, perché non quella della scrittura del codice, che è lunga, lenta, complessa, con nodi di logica sovrapposti e una gamma dinamica da tenere a mente estremamente ampia? Non ci sono altre attività altrettanto complesse e difficili quanto quella del programmatore. Perché non automatizzarle? Ci pensa il machine learning e il gioco potrebbe presto essere fatto. Con buona pace di tutti quelli che imparano più o meno a programmare in un linguaggio o nell’altro, senza avere chiare le idee neanche del perché lo stiano facendo o come.

Chris Wanstrath, CEO di GitHub (il più grande “porto” sul quale viene archiviato il codice dei progetti collaborativi) durante l’annuale conferenza GitHub Universe l’ha detto chiaro: in futuro le macchine si programmeranno da sole. Non perché acquistino coscienza di sé o altre scemenze da romanzetto di fantascienza. Ma perché l’informatica è una scienza di astrazioni progressive e questo è il prossimo passo che logicamente deve avvenire. Dopo aver iniziato con computer logici creati su carta, siamo passati alle prime macchine automatiche per l’elaborazione dei dati programmabili: si scrivevano i comandi su carta e poi si attendeva l’esecuzione. Poi sono stati inventati sistemi di programmazione più sofisticati per rendere più semplice il lavoro degli operatori. Man mano che siamo andati avanti questi sistemi hanno assunto forme sempre più vicine a quelle che l’uomo è in grado di comprendere: il pensiero computazionale ha incrociato bisogno di semplificazione e sono nate librerie di codice utile per gestire la complessità del codice, e quest’ultima è sempre cresciuta con la potenza dei computer e la complessità dei problemi da gestire.

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Siamo arrivati al punto che il machine learning fornirà lo strumento base per programmare: il futuro della programmazione, secondo questa tesi, non starà nel programmare, ma nell’addestrare e gestire e analizzare i risultati dei sistemi di machine learning dedicati a questo. Non sarà una attività semplice, occorreranno competenze specifiche ed avanzate ma queste saranno molto diverse da quelle utilizzate oggi dai programmatori tradizionali (che continueranno ad avere spazio per lavorare, comunque) perché richiederanno sostanzialmente conoscenze di logica formale e capacità di analisi dei problemi, oltre a nuove competenze “pedagogiche” per l’addestramento dei sistemi di machine learning.

La rivoluzione del codice che entra nelle nostre scuole invece odora purtroppo di antico: rischia di essere in fuori gioco prima ancora che i suoi giovani allievi arrivino al mercato del lavoro. A meno che non venga trasformata in una conoscenza dell’informatica intesa come computer science anziché un apprendimento meccanico, stile ECDL, di sistemi di programmazione isolati e fini a se stessi da un punto di vista pedagogico.

Dopotutto, come diceva lo scienziato informatico Edsger W. Dijkstra, se l’astronomia non è la scienza dei telescopi ma quella di chi studia le stelle, l’informatica non è la scienza dei computer ma quella di chi studia un nuovo modo di pensare in maniera computazionale. Insegnare solo il codice è tecnica, e come tale a rischio di obsolescenza rapida.

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