Il vuoto incolmabile lasciato da Steve Jobs non può, per definizione, essere colmato. Sarebbe stato davvero interessante vedere come avrebbe adattato la crescita e la trasformazione di Apple negli anni Dieci del XXI secolo, cosa avrebbe fatto (Scott Forstall sarebbe ancora in azienda? E Jony Ive?) e cosa non avrebbe fatto.
Abbiamo deciso di prendere spunto dal numero dieci, l’anniversario della morte di Jobs, per costruire una piccola classifica: le cinque cose fatte bene e le cinque cose fatte male dal Ceo di Apple, NeXT e proprietario di Pixar. Ma non solo.
Pari: la seconda volta di Apple
Cosa meglio di Apple? La seconda venuta di Steve Jobs, quella in cui ha ripreso il controllo dell’azienda che John Sculley e il consiglio di amministrazione gli avevano tolto, è stata spettacolare. Non c’è un singolo imprenditore che sia riuscito a usare intuito, maturità, carisma e capacità di inventarsi il futuro oltre a prevederlo come ha fatto Steve Jobs. Non ha sbagliato un colpo (no, non è vero, come vedremo più avanti, ma quasi) e ha ricreato una azienda che è diventata qualcosa di eccezionale. Incredibile.
Dispari: la prima volta di Apple
L’invenzione di Apple con il sodale Steven Wozniak, l’anonimo Ronald Wayne (l’uomo che viveva in un camper ma era andato più vicino a diventare miliardario della storia) e un giro di amici e parenti ha consentito a Jobs di creare qualcosa di incredibile. E non ci sbagliamo, a vent’anni era sulla copertina di Time, ha inventato il personal computer, ha lanciato il Macintosh, si è fidanzato con Patty Smith, abitava nel condominio di John Lennon a New York City.
Tutto fantastico, certo. Però alla fine era ingestibile, iracondo, irascibile, troppo imprudente e soprattutto ancora non in pace con se stesso oltre che con il mondo circostante. Risultato: lo hanno buttato fuori. E a ragione. Il bagno di umiltà del fallimento gli ha fatto molto bene, è stata una lezione che l’uomo Steve Jobs ha capito perfettamente.
Pari: il cubo di Apple
Steve Jobs, nel momento di maggior crisi dell’azienda, quando era tornato alla guida di Apple nel 1997, ha licenziato, chiuso progetti, dismesso intere linee di business. Ma si è messo anche a lavorare sul futuro, a progettare la ripartenza. E una delle cose che ha fatto è stata lavorare a un progetto che è stato tenuto super segreto. Era un negozio, l’idea di una catena monomarca che riportasse i clienti di Apple direttamente in contatto con la marca, con l’esperienza e il “senso” dell’azienda. Un’impresa titanica che si è trasformata in una macchina per fare soldi.
Tim Cook ha continuato a far crescere la rete di negozi, costruendone alcuni veramente spettacolari, cattedrali di vetro, acciaio e pietra. Ma quello che definisce l’epoca di Steve Jobs, il punto di arrivo della prima ondata è il cubo di vetro di Manhattan, sulla Quinta Strada all’angolo con Central Park: quel cubo è l’essenza del sogno minimalista di Jobs. C’è la struttura, vuota leggera e trasparente, ma non c’è il negozio, che è nascosto sottoterra. Lavora per sottrazione e aggiunge significato.
PowerMac G4 Cube
Dispari: il cubo di Apple
C’è un altro cubo di Apple che non è andato bene. È la cartuccia sparata male, quella che si è inceppata in una sequenza di centri perfetti. Un passo indietro: una delle caratteristiche del Macintosh era la sua dimensione compatta e la maniglia. Non ti fidare di un computer che non puoi trasportare, diceva una delle prime pubblicità. E infatti il Macintosh 128k e successivi erano dei trasportabili. Poi c’è stato iMac, il computer della rinascita: bello, leggero, divertente, costruito in maniera intelligente attorno al tubo catodico del monitor, ma soprattutto piccolo e identico concettualmente al primo Macintosh. Inclusa la maniglia per trasportarlo.
E poi c’è stato il Cube, il cubo, che doveva essere il computer “potente” ma compatto per il settore scolastico e dell’educazione. Certo, monitor esterno, certo costi elevati. Ma senza ventole e con un gravissimo difetto: la dissipazione del calore per convezione andava verso l’alto e azionava involontariamente il pulsante di spegnimento che funzionava non a pressione ma registrando il calore del dito che lo toccava. Risultato: è stato un flop. Ma era bellissimo.
Pari: motivare le persone
Il “nuovo” Steve Jobs ha mostrato un talento incredibile per la gestione delle risorse umane e dei collaboratori. Forte di una leggenda che lo precedeva, di una intelligenza per i dettagli e un buon gusto per le forme e i modi, ma soprattutto per una spiccata volontà che si poteva trasformare in un cuneo o in una forma di seduzione, Steve Jobs ha saputo raccogliere attorno a sé un primo giro di collaboratori di altissimo livello (Jony Ive, che era già in Apple, era demotivato e inutile ma è stato “ricostruito” e trasformato in un genio del design da Steve Jobs in persona) e poi ispirare decine di altri dipendenti. Oltre a questi, le sue relazioni personali con tutti i big della Silicon Valley e delle grandi aziende attorno al mondo gli hanno permesso di creare una rete di collaborazioni molto fitta con Apple che ha trasformato un’azienda morente in un grande successo.
Dispari: distruggere le persone
Il “vecchio” Steve Jobs era irruente e faceva danni, anche emozionali. Non solo nel privato ma anche e soprattutto nel lavoro. Favolose le sue sfuriate, gli attacchi di rabbia, il carattere esplosivo. Un uomo difficilissimo, estremamente esigente, capace sì di cambiare idea se c’era qualcosa di meglio proposto da altri, ma capace anche di distruggere chi avanzava idee sciocche, sbagliate o da poco. Un uomo che ha spremuto il gruppo di lavoro del Macintosh, come viene raccontato in tutte le cronache che ne hanno descritto il successo, arrivando a distruggere alcuni dei tecnici di valore che lavoravano a quel progetto e sostanzialmente a mettere in crisi per mesi e mesi la vita privata oltre che lavorativa di tutti gli altri. Meno male che poi è cambiato (un po’).
Pari: il minimalismo
Non c’è stato ancora qualcuno capace di interpretare il significato dell’arma più potente utilizzata da Steve Jobs e di capirne anche la portata simbolica ma anche tecnologica e di business. L’estremo minimalismo che nasce molto presto nella visione del mondo di Steve Jobs è entrato evidentemente in risonanza con tutto il resto e ha identificato uno zeitgeist che ancora oggi rimane insuperato. Forse perché la mente e la cultura degli informatici e del digitale funziona per sottrazioni? Forse perché, terminata l’era del barocco in cui la ricchezza era data dagli orpelli, e quella funzionale in cui il brutalismo era l’unica estetica possibile, il minimalismo interpreta la possibilità di interpretare infiniti scopi con il medesimo strumento? Chissà. Sarebbe bello trovare qualcuno abbastanza competente in maniera trasversale sull’umana natura per spiegare il successo del minimalismo di Steve Jobs, ma tale è stato e tale rimane. Un mistero minimale.
Dispari: il minimalismo
Togliere tutto, ossessivamente, nascondendo la complessità, la ricchezza, le possibilità. Steve Jobs ha trasformato il mondo in maniera radicale ma lo ha anche devastato, peggio di Marie Kondo. L’ossessione nevrotica per stare in una casa vuota, discutendo anche dell’acquisto di quale lavatrice e quale asciugatrice è un dato significativo della personalità di Steve Jobs nel senso che significa qualcosa: non sono del tutto equilibrate le persone così ossessionate dal bisogno di ridurre tutto al minimo e buttare tutto il resto. L’eccesso, sia quando si accumula troppo sia quando si getta tutto, non è mai bene.
Pari: iPhone e iPad
Chi scrive era seduto davanti a Steve Jobs, in terza o quarta fila (laterale), quando ha presentato sia iPhone che poi, tre anni dopo, iPad. E tutt’e due le volte c’è stata la sensazione di assistere a qualcosa di magico. Un cambiamento, una magia, un evento che si percepisce chiaramente che rende il mondo un posto diverso. C’è chi non ci ha creduto, chi istantaneamente ha attaccato Jobs (concorrenti, invidiosi, gentaglia varia) ma la verità pura e semplice è che quei due apparecchi, assieme al Macintosh, all’iPod (ve lo ricordate?) e al MacBook Air, hanno cambiato la forma del presente. Ci sono altre cose, ma quelle sono quelle che hanno cambiato le nostre vite, assieme forse alle AirPods (che sono alla base del successo del mercato dei podcast, per dire).
Dispari: iPhone e iPad
C’era un tempo in cui i telefoni facevano i telefoni, i computer facevano i computer e i tablet semplicemente non c’erano. E si viveva anche meglio, da un certo punto di vista. Almeno, se avevate un Nokia 6310i con porta all’infrarosso, un PowerBook portatile con una batteria da 4 ore e porta all’infrarosso (o Bluetooth), potevate andare e navigare. Magari anche leggervi un libro o ascoltare la musica usando il vostro iPod, se avevate colto la palla al balzo e ve n’eravate comprato uno. Poi sono arrivate tutte queste diavolerie tecnologiche e tra telefoni che fanno da videocamera professionale e computer, tavolette di silicio e vetro che fanno tutto e computer con la potenza di calcolo di una nazione negli anni Novanta e la batteria che dura più di un ciclo del vostro ritmo circadiano, è finita che non ci si capisce niente. Si stava meglio quando si stava peggio, insomma. O no?
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