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Impianti Apple in Usa? Molto difficile. È questa l’opinione di alcuni esperti ed analisti nella scia dell’annuncio avvenuto nella notte di mercoledì 26 luglio con cui Foxconn ha ufficialmente fatto sapere di avere disposto un investimento da 10 miliardi di dollari per costruire una nuova fabbrica nel Wisconsin, una struttura per la produzione di pannelli LCD che inizialmente dovrebbe impiegare 3000 persone, questo quando in molti si attendevano, sulla scia di uno dei famosi tweet di Donald Trump “Tre grandi, grandi, grandi strutture” di Apple.
Apple non ha commentato l’affermazione di Trump ma la prospettiva che la Casa di Cupertino costruisca impianti dedicati all’assemblaggio di nuovi prodotti, addirittura tre, appare poco plausibile secondo analisti ed esperti che conoscono il funzionamento delle catene di approvvigionamento. “In Cina Apple dispone di una ricercata catena di fornitori e i lavoratori manifatturieri abbondano nel paese” spiega Carolina Milanesi di Creative Strategies; “la spedizione di materiali per la produzione di iPhone o iPod negli USA taglierebbe margini di profitto”. E ancora: “Non si passa all’improvviso da piccole strutture per costruire il Mac, a tre impianti”.
In passato Apple ha tentato di produrre alcuni dispositivi in “casa” ma senza grande successo. L’investimento più recente, 100 milioni di dollari, risale al 2012, usati per macchinari destinati alla creazione dei Mac Pro negli USA e per la creazione dei relativi impianti in Texas e California in partnership con produttori a contratto quali Flextronics e Quanta Computer. L’iniziativa sarebbe servita da test per future produzioni negli USA ed evidenziato da subito una serie di problematiche.
Ad Austin (Texas) Apple ha dovuto affrontare il problema del turnover del personale. Oltre l’80% dei dipendenti erano lavoratori con contratto a termine pagati con il minimo sindacale per otto ore di lavoro al giorno. Secondo Alan Hanrahan, ex supervisore manifatturiero di Apple, molti di questi non supportavano il cambio di turni e preferivano abbandonare il lavoro, anche improvvisamente, con le linee produttive in funzione.
Negli impianti di Austin, Apple ha dovuto affrontare anche problematiche legate al controllo di qualità. Inizialmente tra il 60% e 70% dei Mac Pro qui prodotti, non rispettavano gli standard di qualità imposti dall’azienda e dovevano essere rottamati. Nel corso del tempo le cose sono migliorate ma l’inizio non è stato per nulla facile. Questo per dire che non è facile trovare dall’oggi al domani competenze e operai in grado di lavorare agli stessi ritmi delle fabbriche cinesi. Qualche anno addietro, parlando della possibilità di produrre gli iPhone negli USA, il CEO di Apple Tim Cook aveva spiegato che la produzione in Cina avviene non tanto per una questione di costi della manodopera ma per il livello di abilità e competenze delle aziende. “Gli americani” aveva detto Cook, “hanno perso quel tipo di abilità vocazionali; voglio dire, se mettessi insieme tutti gli attrezzisti e gli stampisti degli Stati Uniti riempiresti la stanza in cui sediamo ora, mentre in Cina ti occorrerebbero più campi da calcio”.
Ma allora perché Trump ha parlato dei tre “grandi, grandi, grandi impianti” di Apple? Secondo alcuni osservatori il Presidente ha semplicemente confuso Foxconn con Apple e , almeno per ora e nel futuro immediato, non ci sarà alcuna fabbrica Apple negli Stati Uniti.