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Giappone, tutto un altro videogioco

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La prima parte e la seconda parte del nostro viaggio nel mondo dei videogiochi

L’€™Impero del Video Game, così come l’€™impero del fumetto, delle ossessioni personali e di tante cose delle quali spesso in Europa e negli Usa si parla magari senza troppa cognizione di causa. àˆ il Giappone, la terra che nel tempo ha affascinato giovani ed intellettuali, registi e scrittori, appassionati di giochi e di Oriente (un po’€™ meno misterioso di altre zone del Far East, o almeno misterioso in maniera diversa e più ‘€œmetropolitana’€).

C’€™è chi ha sostenuto che ad un certo punto il Giappone sia diventato – durante gli anni Ottanta – il ‘€œluogo’€ nel quale poter vedere il futuro all’€™opera: la rutilante vita della metropoli-capitale Tokio (con un’€™area estesa di 35 milioni di abitanti), la mancanza di regole di decoro urbanistico o di limitazione delle insegne al neon e pubblicitarie, il caos di una cultura che ha abbandonato buona parte delle sue tradizioni millenarie dopo lo shock della doppia bomba atomica e la capitolazione dell’€™Imperatore (quello vero), scoprendo in un trentennio non solo come ricostruire la propria economia, ma anche come mantenere una propria, originale identità  nazionale, grazie soprattutto alla protezione assicurata dalla lingua estremamente ostica nella sua versione scritta.

Il Giappone negli anni Ottanta ha rappresentato un pericolo – il boom delle economie asiatiche – e una fascinazione enorme: l’€™Europa era stata appena sommersa durante gli anni Settanta da una serie di cartoni animati e poi fumetti ‘€œstrani’€ (anime e manga), che incidentalmente hanno forgiato un aspetto dell’€™educazione sentimentale della generazione degli attuali trentenni-quarantenni, ha costruito stereotipi culturali diversissimi e misteriosi (adesso Internet sta cominciando a rendere ‘€œnormali’€ le visioni del lontano Giappone), ma soprattutto ha reinventato un modo di produrre elettronica e tecnologia anche informatica.

Nel settore dei videogiochi sono stati vari gli attori che nel corso del tempo hanno ‘€œcolto la palla al balzo’€ e ripreso, modificato ed ampliato idee che originariamente provenivano dagli Usa. In particolare, la nascita del video game, a parte i primi esperimenti su mainframe, ha coinciso con quello della creazione di computer dedicati, le prime console. E ai giapponesi l’€™idea di console è piaciuta. Sarà  perché la penetrazione dei personal computer è stata più lenta (i moderni sistemi di scrittura che consentono l’€™utilizzo di caratteri giapponesi all’€™epoca del Dos non c’€™erano), o forse perché due schermi (tv e monitor) nella stessa minuscola casa dei condomini-alveare di Tokio e Osaka erano un po’€™ troppo, o perché il mercato Arcade – che è rapidamente fiorito in Giappone – aveva come più logico sviluppo la console che non la conversione per Pc, insomma, la fiaccola del gioco per console è passata indubitabilmente in Estremo Oriente, almeno sino a quando Microsoft non ha lanciato la sua Xbox.

Sulla divisione del mondo dei gamers tra console e personal computer si possono scrivere saggi di infinita lunghezza: ragioni le più diverse sono quelle che tracciano una riga fra i due mondi. Anche la tipologia di gioco rileva, visto che giocare a Sim City su console non è una esperienza altrettanto gratificante che giocarlo su Mac o Pc e viceversa nel caso di un bel gioco di guida (anche se ovviamente c’€™è chi sostiene il contrario). Ma è soprattutto per il mondo dei giochi di ruolo e poi per quelli ‘€œstrani’€ di marcata origine giapponese che la console riesce a dare il meglio.

Perché queste differenze e che cosa sa offrire una console in più o quantomeno di realmente diverso rispetto a un Pc? Fino a tempi recenti erano tre i punti di forza: la stabilità  dell’€™hardware rispetto ai personal computer (le console non si ‘€œespandono’€ se non in maniera estremamente limitata durante il loro corso di vita e quindi i giochi sono sempre ottimizzati per l’€™hardware a disposizione); la presenza di periferiche di input dedicate (che recentemente stanno acquistando un peso sempre maggiore sia nel successo della console stessa che nell’€™esperienza di gioco del gamer, come il Wii ben dimostra) che sono scomode per inserire il testo ma ottime per gestire apparecchi complessi che sui Pc si trasformano in tonnellate di tasti da memorizzare; il tipo di supporto di memoria che a lungo è stato limitato (la cartuccia, che costringeva a sfruttare al massimo la tecnologia e la creatività  dei produttori di videogiochi per ottenere il massimo risultato con il minimo dello spazio, a differenza dei Pc che invece stimolano la pigrizia dei programmatori, consentendo di scegliere soluzioni ‘€œottuse’€ e lasciando alla forza bruta di Cpu sempre più veloci il ruolo di risolvere gli inghippi e restituire la dimensione spettacolare del gioco).

Le cose con il tempo sono un po’€™ cambiate: adesso la presenza di supporti di memoria sempre più capienti, ad esempio, sta aiutando un po’€™ la ‘€œpigrizia del programmatore’€; anche se la ragione del loro successo – tutto iniziò con la giapponese Square (quelli di Final Fantasy) arrabbiata con la scelta di Nintendo di utilizzare sempre cartucce e il conseguente passaggio alla Sony dotata di Cd nella sua prima generazione di Playstation – è stata pure il volano al quale si sono attaccati i supporti ottici in un crescendo che dal Cd è passato al Dvd (aiutando la crescita dello standard video rispetto alle videocassette) e poi Blu-Ray (e qui la storia è tutta da scrivere, ancora). E poi la ‘€œstabilità  dell’€™hardware’€ non è più un dogma assoluto, con i segnali di questa prima generazione di console ‘€œmoderne’€ (Xbox 360 e Ps3) nelle quali le espansioni sono fin troppe e non sempre richieste dalla necessità  di utilizzare l’€™alta definizione.

Ma una nuova dimensione è nata: si tratta del networking. Che ha due matrici culturali, due necessità  potremmo dire, molto diverse. Quella che proviene dall’€™Occidente, e che riguarda l’€™ottima rete di gioco online di Microsoft e della sua Xbox 360, è legata all’€™emulazione di quel che stava succedendo nel mercato dei giochi per Pc con l’€™avvento di Internet. Invece, in Giappone, la scelta (pur sempre una necessità  di competizione globale, sia chiaro) deriva però da un’€™altra influenza. àˆ quella dei keitai, cioè i telefoni cellulari, che nel paese del Sol Levante sono diventati il principale strumento di interazione anche digitale con le aziende e gli altri utenti. àˆÂ questa la metafora necessaria a capire gli sforzi di Nintendo di ricreare un ambiente ‘€œin grande stile’€ per il teleschermo di casa con i canali del Wii (che consentono anche di fare moltissimo retrogaming, scaricando le versioni delle console precedenti dei franchising di maggior successo, da giocare con il Wii e un emulatore ‘€œincapsulato’€ nel suo sistema operativo) e in parte anche di Sony di cominciare a darsi una dimensione ‘€œdi rete’€ non solo per partite di shoot’€™em all ma anche di giochi più ‘€œsociali’€. L’€™effetto sul mercato e lo stile ‘€œimportato’€ da Second Life è sicuramente importante, ma la chiave è anche una sensibilità  differente al modo di interagire.

Aggiungiamo che tutto un mondo, quello del gioco in mobilità , cioè delle console da passeggio come GameBoy, Nintendo Ds e PlayStationPortable (Psp) deve praticamente tutto al Giappone. Certo, c’€™è l’€™idea che in Estremo Oriente lo sviluppo dell’€™hardware miniaturizzato e portatile sia una chiave di volta per il mercato, ma c’€™è anche la dimensione molto importante dell’€™assetto del mercato: case piccole per cui, si dice, l’€™armadio è il grande magazzino, la cucina è il ristorante, il soggiorno sono gli spazi e le caffetterie dei mall e delle stazioni ferroviarie e il corridoio è in treno. Lo spazio e il tempo libero sono vissuti in maniera diversa, condizionati ad esempio da ampie fasce della popolazione che devono ‘€œpendolare’€ tra casa e il lavoro, eleggendo l’€™americano Starbuck o la locale catena di pasticcerie a luogo di socializzazione con amici e conoscenti o di riposo tra un treno e l’€™altro. Ecco perché il cellulare e poi la console da passeggio diventano oggetti di vita quotidiana che consentono lo svago e il riempimento dei tempi morti di mobilità : la mancanza del ‘€œsalotto buono’€ in casa è la dimostrazione al contrario di questa idea.

L’€™incrocio di queste abitudini e stili di vita con una estetica che dal secondo dopoguerra si è appoggiata sempre più pesantemente sull’€™illustrazione e la grafica a fumetto, hanno aiutato ad esempio a realizzare un mondo di cose carine, un’€™estetica del kawaii in cui i giochi sono popolati di bambolotti (il massimo ottenibile con la grafica a 16 bit, il periodo d’€™oro dell’€™estetica digitale giapponese, più o meno contemporaneo alla nascita della nostra pixel-art soprattutto in Germania) che diventano ciondoli, portachiavi, fumetti, illustrazioni, bambolotti di pezza per la casa, personaggi dei parchi di divertimento. Il Giappone è abituato a costruire suoi immaginari e tecnologie, oltre a rifunzionalizzare quelli Occidentali, in un potente esercizio di autarchia aiutato dalla distanza geografica e dalle difficoltà  di comunicazione che, ad essere franchi, non stanno solo nella profonda diversità  della loro lingua ma anche nei differenti assetti mentali che la lingua, la cultura e lo spirito di quel paese hanno costruito rispetto a quelli Occidentali.

Il videogioco, nella sua incarnazione come console, è quindi nato in America ma è cresciuto in Asia, in Giappone. E la sua crescita è originale, contaminata e contaminante rispetto all’€™Occidente. La novità  di un produttore americano di console, Microsoft, è avvenuta solo al costo dell’€™uscita dal mercato della più ‘€œstraniera’€ fra le tre aziende presenti, cioè Sega, mentre Sony, la più internazionale, ha operato una erosione della tradizione del gioco per console figlia della cultura dell’€™elettronica di massa che il colosso di Tokio ha accumulato nei decenni di crescita non solo tecnologica ma anche con le acquisizioni (non sempre fortunate o fruttifere) di interi settori dell’€™industria dell’€™intrattenimento statunitense: cinema, televisione e musica.

Oggi si è raggiunto un inedito livello di complessità  e sovrapposizione di queste visioni diverse ma reciprocamente contaminate del mondo. Il Giappone sta guidando l’€™innovazione nell’€™utilizzo di forme nuove del gioco su console per superare una barriera demografica enorme, quella cioè dei ‘€œgamers’€ propriamente detti, che sta anche snaturando in parte l’€™aspetto ludico così come era stato codificato da trent’€™anni di produzione di software per Pc e console da gioco. Il nuovo giocatore casuale è l’€™utente tipico dei servizi di genere più diversi (dal telefonino a Internet alle abitudini nel tempo libero per l’€™interazione con il mondo della moda, degli accessori, degli acquisti in generale) ed è attratto dall’€™aspetto più leggero e performante del video game rispetto alle esigenze della grafica e la coerenza ad un canone estetico (nato negli Arcade e sostanzialmente rimasto immutato, arricchendosi di nuovi strati, colori ed effetti speciali solo grazie all’€™evolvere delle tecnologie) che stava cominciando a tirare un po’€™ la corda.

Il futuro del videogioco passa dal Giappone ma non è limitato al solo Giappone. Solo tre anni fa si sarebbe potuto pensare che quello era il mondo più statico, visto che dal Giappone non provengono rivoluzioni nei giochi di rete come Second Life, nel design di computer (a parte le poche cose della linea Vaio e qualche volta di Toshiba), nella creazione di tecnologie del Web 2.0. Le reti sociali su Internet rimangono sostanzialmente sterili, rispetto ai canali di propagazione occidentale, perché divise dalla barriera linguistica e da presupposti culturali imprescindibili e insuperabili: non impollinano Internet e le menti di chi la popola al di fuori del Giappone. Eppure, un altro canale, quello della costruzione di prodotti pre-realizzati come le console e i loro modi d’€™uso, unite a un canale di diffusione rodato ed efficace, sta probabilmente aiutando il Giappone ad esprimere il suo enorme potenziale di innovazione in un modo che l’€™industria Occidentale – strutturata o da cottege – non riesce.

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