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Game Boy, un sogno lungo trent’anni

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Oggi, nonostante ci siano i dispositivi iOS e in parte anche quelli Android, la Nintendo fa ancora la sua parte nel settore che trenta anni fa ha creato praticamente dal niente. Ci pensa la console ibrida Switch, che si gioca un po’ da soli, un po’ in compagnia e un po’ attaccati al televisore di casa (e della quale forse verso Natale uscirà la versione “Light”, più piccola).

Ma è stato trent’anni fa che la casa di Kyoto, nata nel 1889 per vendere le carte da gioco tradizionali giapponesi chiamate Hanafuda, ha fatto la vera svolta culturale per la nostra società. L’anno era il 1989, era già finita l’ondata delle console arcade da bar e quella dei Game & Watch e degli altri apparecchi “speciali” ai cristalli liquidi, che Nintendo aveva a lungo sfruttato. Era già partita l’era del NES, il Nintendo Entertainment System (console da salotto) e si stava delineando la strategia di una azienda che produceva giochi su cartuccia affidando alle terze parti solo una piccola e controllata parte delle produzione, lavorando invece molto sulle produzioni internet.

Ed ecco che l’immarcescibile Gunpei Yokoi, uomo-chiave della vecchia Nintendo, che già si era inventato i Game & Watch, tira fuori un altro capolavoro di quelli che cambiano la strada a un’azienda, assieme al fido Satoru Okada. L’invenzione è una console a otto bit a 4 toni di grigio (2-bit), il mitico Game Boy.

Game Boy, un sogno lungo trent’anni

Noi oggi il Game Boy lo conosciamo come una icona pop, un pezzo di modernariato, il capostipite di una genìa di altri apparecchi. Un oggetti spettacolare. All’epoca invece era semplicemente fantascienza. Ovviamente già esistevano altri apparecchi sia con più bit e più colori che capaci di giochi più complessi. Il Game Boy era infatti il pezzo “economico” e tecnicamente inferiore rispetto alle altre console di quarta generazione: Game Gear di Sega. il Lynx di Atari e il TurboExpress della Nec. Però il Game Boy aveva alcune differenze che ne avevano fatto la macchina vincente.

La prima era il prezzo: il Game Boy costava meno. Notevolmente meno. Anzi, proprio poco.

La seconda era la durata della batteria: quattro batterie stilo AA (ma si poteva usare anche il battery pack) che andavano avanti per giornate e giornate: la durata massima erano 15 ore continue con i titoli più “performanti).

La terza era la possibilità del multiplayer: link diretto fra due Game Boy, oppure 4 con un adattatore fino a un massimo di 16 a cascata.

Infine, la quarta erano i titoli a disposizione della piccola console grigia. Nintendo in poco tempo aveva superato se stessa ed erano arrivati titoli spettacolari capaci da subito di tirare al massimo il processore Sharp da 4,19 MHZ con 8 KiB di Ram che muoveva oggetti a 60 fps su uno schermo da 160 per 144 pixel prendendo i dati da cartucce che andavano da 32 KiB fino a 8 MiB (le ultime commercializzate).

Game Boy, un sogno lungo trent’anni

Il risultato è stato che, dal 1989 al 2003, anno della dismissione, il Game Boy nelle sue varie incarnazioni ha venduto 118,69 milioni di pezzi. E le incarnazioni sono state, oltre al Game Boy tradizionale, il Game Boy Pocket (1996), il Game Boy Light (1998) e il Game Boy Color. Inoltre, i giochi del Game Boy sono rimasti compatibili con il Game Boy Advance (2001) e Advance SP (2003) ma non più con il Game Boy Micro (2005).

Il gioco più venduto di sempre per Game Boy “puro” è stato Tetris, con 30 milioni di copie e passa, ma in seconda posizione c’era già uno dei titolo della serie Pokémon, con 23,6 milioni di copie. Saranno i Pokémon a dominare il Game Boy Color (23 milioni di copie) e i tre Game Boy Advance/SP/Micro con un totale di 13 milioni di copie.

A parte le evoluzioni dei pack, dalla versione tradizionale del Game Boy a quella Advance, ci sono stati vari accessori, dalla Game Boy Camera alla piccola stampante termica Game Boy Printer, fino a degli adattatori chiamati Super Game Boy per lo Snes e il Game Boy Player per giocare ai giochi del Game Boy sul GameCube.

Game Boy, un sogno lungo trent’anni

Ancora oggi si possono giocare alcuni dei vecchi giochi del Game Boy grazie alla Virtual Console del Nintendo 3DS e agli altri servizi, oltre che agli emulatori – ovviamente non tanto legali, soprattutto se non si posseggono le rom originali.

La vera eredità del Game Boy però è stata un’altra: aver ridefinito per almeno vent’anni lo spazio del gioco, che diventava territorio privato personale e tascabile di generazioni e generazioni di ragazzini di tutto il pianeta. Il Game Boy stava sempre con noi, non richiedeva complesse negoziazioni dei tempi comuni di televisione casalinga per collegare una console, e permetteva di partecipare affiancati o almeno vicini a lunghe maratone di gioco, riempiendo uno spazio che poi sarebbe stato quello della musica in cuffia, dei social e dei giochini sugli smartphone di oggi.

Un adolescente di metà anni ottanta guarda i figli che oggi navigano perduti tra le bellurie delle loro tavolette lucide di vetro, sempre connesse a internet, con gli occhi affascinati dalla magia di chi queste cose le ha scoperte con l’estetica “Braun” alla Dieter Rams e le ha viste crescere, generazione dopo generazione, decennio dopo decennio.

Game Boy, un sogno lungo trent’anni

Una nota sta anche nella trasversalità di genere con la quale il gaming si è diffuso grazie alla piccola console da passeggio di Nintendo: nel 1995 Nintendo of America aveva condiviso delle statistiche dalle quali si evinceva che il 46% dei gamer era di sesso femminile, una specie di record rispetto a qualsiasi altra piattaforma di gaming del pianeta.

La musica di Super Mario Land, le prodezze di Donkey Kong versione Game Boy, le avventure di Kirby, le prime avventure di Zelda e dei Pokémon, sono tutti ricordi intramontabili di una piccola console che ha lottato a lungo per diventare anche qualcosa di più. Bisogna arrivare al Nintendo DS per trovare traccia, oltre che della rivoluzione che ha fatto accelerare Nintendo e l’ha portata a creare la Wii, del desidero di costruire un piccolo organizer da tasca, un piccolo strumento per poter registrare il proprio diario, condividere le proprie esperienze, essere per la prima volta digitali. Non è stata Nintendo a cavalcare questa via, per vari motivi, ma ci ha dato a noi ragazzi di allora il primo brivido di avere fantascienza in tasca. Indimenticabile.

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