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Addio I’m Watch, lo smartwatch italiano che anticipò Google e Apple

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I’m Watch è la prova che, alle volte, non basta essere precursori o pionieri o avere un buon marketing per aver successo. Era il 2012 quando il primo vero smartwatch, nel senso moderno del termine, fece apparizione sul mercato ad un prezzo base di 349 euro (lo stesso probabilmente al quale debutterà Apple Watch). Allora non si sentiva spesso parlare di orologi smart da collegare a smartphone e tablet, men che meno si avevano notizie sull’indossabile della casa di Cupertino, anche se già segretamente in sviluppo dal 2011. Oggi, come titola il Corriere, finisce la storia di I’m Watch, progetto italiano nato anche grazie ai finanziamenti di Ennio Doris.

Rimangono solo conti in rosso di quel progetto nato con tanto entusiasmo, che Macitynet toccò con mano nel gennaio 2012 durante il CES di Las Vegas, con il primo nostro approccio il filmato che mostriamo in calce. Anziché avverarsi il decollo programmato nel 2013, il progetto è colato letteralmente a picco. E pensare che inizialmente nel giugno 2012, a soli pochi giorni dal lancio, le prenotazioni raccolte online ammontavano già a 10 mila unità. Dal mondo arabo, e da quello russo, arrivavano perfino ordinativi di I’m Watch di lusso, il cui valore per ciascun pezzo si aggirava intorno ai 13 mila euro. Di questo non rimane ormai nulla, se non un estremo rammarico per la chance sprecata, trasformata in una società ormai da liquidare per vie burocratiche.

Quali sono effettivamente i motivi di questo fallimento? Si potrebbero aprire pagine sull’acerbità del prodotto, sui tempi di consegna continuamente dilazionati o sui limiti di funzionalità. Eppure I’m Watch offriva compatibilità con iOS, Android e perfino BlackBerry ma i primi ordinativi furono evasi con molto ritardo e il team di sviluppo del software venne sostituito dopo il primo anno. La durata della batteria era probabilmente uno dei punti deboli del progetto ma ad oggi il problema non è stato risolto neppure dai grandi nomi che commercializzano prodotti ad alto contenuto tecnologico. La campagna di promozione era stata imponente e ben studiata ma forse aveva creato fin troppa aspettativa: una sorta di primato della comunicazione sull’effettiva capacità del prodotto.

Al di là dei motivi reali di questo disastro, il colpo di grazia è probabilmente dovuto dall’arrivo di Android Wear e dalla presentazione di Apple Watch: prodotti inseriti in un ecosistema con molte più garanzie di successo e venduti a prezzi che avrebbero vanificato qualsiasi altro tentativo di riemergere dal baratro.

Sebbene il mondo degli smartwatch sia destinato a crescere a dismisura nei prossimi mesi, ancora una volta, sarà solo una gara a due contendenti: Apple e Google con qualche outsider con progetti originali come Pebble. Per I’m Watch non ci sarà un domani, ma solo il rammarico per la consapevolezza di avere avuto una azienda italiana tra i precursori in questo settore.

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