Funziona così: la Web 2.0 Suicide Machine è un servizio internet che serve per recuperare la propria verginità digitale. Gli si forniscono i propri indirizzi di social network, username e password, e ci pensa lei non solo e non tanto a cancellare la nostra identità digitale, quanto prima ad andare a giro per internet a cercare di rintracciare qualsiasi nostro bit e cancellarlo per sempre.
Almeno, questa è la storia che raccontano. Infatti, da qualche giorno i servizi di Suicide Machine si deve confrontare con il filtro che Facebook ha deciso di fare contro il servizio. Lo scopo è bloccare un sistema che potrebbe potenzialmente svuotare di tanti contenuti il social network. Nel difficile esercizio di bilanciare i diritti di chi vuole uscire e quelli di non vedersi depauperati delle foto dei nostri amici dai nostri stessi album, Facebook vota per questi ultimi.
Eppure, come racconta il sito stesso, ci sono i numeri a supporto del fatto che il “suicidio digitale” sia utile: 50mila amici resi non più tali in maniera completa, e 500 utenti usciti da Facebook per sempre. E gli altri che scoprono solo adesso il servizio. Ci sono vari altri sistemi per operare, fanno sapere da Suicide Machine.
Il vantaggio è la completezza e la velocità : meno di un’ora per svuotare la rete da una identità mediamente connessa, anziché quasi dieci ore di fatiche manuali. Però per Facebook non è felice del modo in cui Suicide Machine lavora, lo stesso. In una dichiarazione, i responsabili affermano che “SM raccoglie le credenziali di accesso e cancella le pagine di Facebook, cose tutte in violazione con lo Statement of Rights and Responsibilities sottoscritto da tutti gli utenti. (…) Stiamo indagando per capire se sarà necessario intraprendere ulteriori azioni legali”.