Certe occasioni capitano una sola volta nella vita. E quando sono passate, come treni dalla stazione, è troppo tardi per prenderli. Sembra la storia di Evernote: azienda fondata dal russo Stepan Pachikov in ambiente Windows, guidata a lungo dal russo Phil Libin e nata per fare una cosa che poi si è scoperto (per caso) potesse essere buona anche per fare altro.
Evernote è nata per prendere appunti e organizzarli nel cloud. È stata una delle primissime app e servizi di tipo freemium a fare questo, a partire dal 2008. All’inizio sembrava bastasse questo, e probabilmente la mentalità dell’azienda è rimasta impastoiata dentro questo limite mentale. Uno dei due limiti mentali, l’altro è stata l’origine Windows del prodotto, che ha portato con sé una interfaccia caotica, ridondante, a tratti inutile, sicuramente troppo complessa, totalmente contraria sia all’estetica “Apple” del “less is more” che in quegli anni è diventata dominante, sia alla semplicità intrinseca del cloud.
Il modello di business di Evernote è quello del freemium, cioè servizio gratuito per tutti con dei limiti di uso e, se vuoi di più, puoi pagare l’abbonamento annuale. Un affare corretto, che moltissimi altri servizi (basta pensare a Gmail ma anche allo storage di Dropbox o di iCloud) praticano con successo. Il razionale dietro è che i pochi che pagano permettono di mantenere il servizio attivo anche per chi lo usa gratuitamente (e che potenzialmente un giorno potrebbe pagare). La promessa di Evernote era quella di portare nel cloud per poter sincronizzare tra apparecchi diversi della stessa persona tutte le informazioni del blocco degli appunti: note a se stesso, dati significativi, immagini, scansioni, biglietti da visita fotografati. L’azienda ha reso addirittura “hackerabile” (cioè ha messo a disposizione le API del servizio) per consentire a terze parti di fare client alternativi e specializzati. Sempre in un’ottica di servizio per sé stessi.
La cosa che Evernote sapeva fare molto bene anche se non sapeva di saperlo era invece qualcosa di molto più figo, sul quale però è arrivata in ritardo. Si tratta della “collaboration”, la possibilità di funzionare come software di “groupware”, software che permette cioè di lavorare tutti assieme, come in un arcipelago di isole connesse, anziché come degli isolati su uno scoglio senza niente e nessuno all’orizzonte.
Evernote questa cosa l’ha capita sempre più lentamente, mentre la mente si apriva alla realtà grazie anche agli investimenti di venture capitalist piuttosto intelligenti come Morgenthaler, Sequoia Capital, Mertech Capital e CBC C apital, assieme a AGC Equity PArtners, m8 Capital e Valiant Capital Partners, con iniezioni una dopo l’altra di decine di milioni di dollari, incluso l’ultimo shottino da 20 milioni di dollari della Nikkei.
È solo una incapacità di pensare fuori dagli schemi da parte dell’azienda quella che le ha impedito di capire fin da subito che Evernote avrebbe potuto e dovuto stracciare i vari Google Docs, Dropbox Paper, e tutti gli altri sistemi di coordinamento e collaborazione su dati e documenti. Dei due approcci per la realizzazione di forme di collaborazione si contano fondamentalmente due grandi strade: mettere il discorso al centro e i documenti a lato (come fa Slack o come fanno i gruppi su Whataspp, su Telegram e su Facebook) oppure mettere i documenti al centro e i discorsi a lato (come fa appunto Google Docs o Paper di Dropbox). Evernote poteva sparigliare, e giocare la carta dei documenti al centro ma aggiungere anche una parte di collaborazione a lato di tipo nuovo, dato che non aveva l’eredità del versionamento e commenti delle revisioni tipiche di chi parte dall’approccio “documento al centro” con l’idea che anche quelle online debbano essere fatti così. Evernote non aveva questa eredità e questi legacci del passato, era libera di creare. Non ha saputo cogliere l’occasione.
Tutto questo nel 2015 è costato il posto a Libin, sostituito dall’americano Chris O’Neill, ex capo di Google Glass. Il quale si è trovato costretto a tagliare un quinto della forza lavoro a ottobre dello stesso anno e a chiudere tre uffici su dieci nel mondo. Lo stesso quartier generale di Redwood City, nel cuore della Silicon Valley, a un certo punto è stato a rischio.
Oggi Evernote ha giocato la carta del redesign della sua applicazione, in chiave più collaborativa ma anche semplificativa. L’iniezione di DNA da Google ha portato a scelte radicali di material design. Nel frattempo l’azienda è stata colpita anche da alcuni piccoli scandali (ad esempio: i dipendenti potevano leggere le note degli utenti) e soprattutto è stata piagata da una mossa “al risparmio” davvero sbagliata. E quasi suicida.
Infatti a metà dello scorso anno Evernote ha annunciato che la versione basic (gratuita) del servizio permette la sincronizzazione tra due soli dispositivi (a proposito: qui scaricate l’app per iPhone e iPad, qui per Mac). Capiamo tutti il bisogno di contenere i costi e soprattutto di invogliare i clienti a passare al servizio superiore. In un mondo di apparecchi connessi, però, la scelta è davvero miope.
Nonotante la possibiltà sia quella di sfruttare servizi Plus da 29,99 euro l’anno e Premium da 59,99 euro l’anno, la verità è che tutto quel che si può fare con i servizi Evernote si può fare gratuitamente anche con altri servizi, magari cambiando forma al tipo di documenti che si usano. Sfruttando Dropbox o iCloud, ad esempio. C’è persino la possibilità di importare tutto l’archivio del proprio Evernote dentro Ulysses, l’app di scrittura, che adesso può gestire anche foto e altri tipi di file. E la sincronizzazione a questo punto avviene tra Mac e apparecchi iOS sfruttando iCloud o Dropbox. È stato difficile creare il sistema di importazione? No, l’ha fatto lo stagista durante il suo periodo in azienda (The Soulmen) l’estate scorsa.
Quale sarà il destino di Evernote? Probabilmente il rilancio deve passare attraverso una palingenesi dolorosa e profonda, che bruci metaforicamente la maggior parte degli attuali clienti e riesca ad attrarne di nuovi. Soprattutto, però, deve riuscire a far partire la collaborazione tra utenti in maniera innovativa e creativa. Altrimenti non ha senso.