I modelli e le simulazioni, diceva un ricercatore, sono come i compiti di scuola da fare a casa: ci si applica, si lavora e poi si riportano corretti. La vita vera però è un’altra cosa. Se esistessero simulazioni realmente aderenti alla realtà allora vorrebbe dire che staremmo già vivendo tutti in una simulazione. Invece il mondo vero è, agli occhi degli informatici ma anche degli avvocati, dei commercianti e (forse) anche dei politici, molto più strano, complesso, “sporco”, sbandato.
Questa riflessione si sposa perfettamente con la Brexit, fortemente voluta dai conservatori britannici e da una parte di maggioranza relativa della popolazione del Regno Unito, che adesso è entrata in effetti. A parte il “deal-no deal”, le negoziazioni, la politica e a parte quello che è finito sui giornali nei mesi e negli anni passati, la realtà sta entrando dalla finestra visto che è stata in buona parte tenuta fuori dalla porta. Nel sistema-società milioni di individui si trovano davanti a nuove regole da applicare e, visto che sono diverse ma non è stato previsto quale effetto avrebbero avuto su tutti gli ambiti, perché sono semplicemente troppi, ecco che saltano fuori le conseguenze.
Nel cyberspazio la prima conseguenza significativa e degna di nota è che sono stati bloccati 81mila domini .eu che appartengono a persone britanniche o aziende con sede nel Regno Unito. Decine di migliaia di proprietari di questi siti che sono basati in Gran Bretagna, insomma, come regalo per l’anno nuovo hanno trovato il blocco dei domini.
Si tratta della conseguenza dell’applicazione delle nuove norme da parte di Eurid, il registry manager per i domini .eu che ha incrociato la posizione/nazionalità di coloro i quali hanno fatto la registrazione e li ha sospesi.
Adesso i nomi di dominio sospesi non possono più supportare il sito web o i servizi connessi come ad esempio la mail. I proprietari hanno tre mesi di tempo per provare davanti a Eurid che hanno il diritto di mantenere i domini .eu. Per farlo devono semplicemente aggiornare i loro dati di contatto e trasferire il dominio a una sussidiaria con sede fuori dalla Gran Bretagna e dentro lo spazio dell’Unione europea, oppure dichiarare, se sono di proprietà di singoli, che hanno cittadinanza oppure residenza in uno stato membro della Ue.
Questa è la prima “sorpresina” tecnologica che spunta dalla Brexit, ma secondo gli esperti è ragionevole immaginare che ne verranno fuori anche molte altre, man mano che la nuova normativa si propaga e singoli attori sociali, dagli amministratori alle aziende sino ai consumatori, si renderanno conto di cosa sia più conveniente. Ad esempio, nei giorni scorsi un sito francese che si occupa di stampe di poster fotografici di alta qualità a prezzi molto competitivi, e che produce parte dei poster in Gran Bretagna sfruttando i prezzi competitivi di un fornitore locale, ha trasferito urgentemente tutta la produzione in Francia. Per poter adempiere a tutti i requisiti doganali previsti dalla Brexit infatti il costo di spedizione si è alzato moltissimo ma soprattutto sono esplosi i tempi di consegna: da tre giorni a circa un mese. E non si tratta di un caso isolato.
La Gran Bretagna sta soffrendo una serie di “intoppi” nelle esportazioni e a quanto pare anche nella importazione di beni e prodotti. Ci sono settori che toccano più direttamente il mondo del web e della tecnologia in generale, come ad esempio il costo e i tempi di consegna dei Raspberry Pi, il computer monoscheda più venduto di sempre che è prodotto da una piccola azienda britannica e che ha fatto del suo prezzo competitivo, ma non bassissimo, tuttavia sempre una leva rispetto alla marea di cloni cinesi. Adesso, con tempi di consegna paragonabili a quelli di chi compra in Cina tramite Alibaba e con prezzi molto più elevati, quale impatto potrà esserci?
Su un altro fronte, l’Europa e la Gran Bretagna hanno firmato come parte degli accordi per la Brexit una misura tampone che permette un periodo di sei mesi di transizione per quanto riguarda il flusso dei dati tra Uk e Ue. Si tratta di un “ponte” a termine gettato su una spaccatura che si sta rapidamente allargando. La normativa europea copre tutta la parte del trattamento dei dati dei cittadini dell’Unione ma adesso il Regno Unito non fa più parte né della prima né della normativa che si applica in questo caso, cioè il GDPR.
Per adesso l’accordo contenuto nel “deal” della Brexit è che il Regno Unito in effetti pare proteggere adeguatamente, dal punto di vista dei cittadini, i dati di tutti, britannici ed europei. Ma è previsto che in sei mesi le due parti debbano trovare un meccanismo giuridico permanente in base al quale consentire il flusso di informazioni avanti e indietro. Solo che negli accordi non è indicato in alcun modo come questo accordo dovrà essere raggiunto. In pratica, gli accordi per la Brexit hanno solo rinviato di sei mesi una delle tante scadenze (e sono moltissimi i commi di questo genere nel patto firmato tra Ue e Regno Unito. Nei prossimi mesi anche questi nodi verranno al pettine.
Tutti gli articoli di macitynet che parlano di Finanza e Mercato sono disponibili ai rispettivi collegamenti.