Alle volte viene da pensare che sia un giullare ancora più giocherellone di Phil Schiller. Uno messo lì per caso, più per la verve e la simpatia che non per reali competenze. Ma chi è in realtà Eddy Cue, il manager Apple con più forti relazioni lavorative anche nel nostro Paese (è membro del consiglio di amministrazione di Ferrari), l’uomo che ha preso sulle spalle due eredità (quella di Jobs per la musica e quella di Scott Forstall per Mappe e store iOS) da far tremare le vene nei polsi a uomini meno forti di lui?
Cue, laureato in informatica e specializzato in business administration alla Duke University, sinceramente appassionato di sport e famoso per il suo stile di management informale e molto diretto, è entrato in Apple nel 1989. Ha traversato la gerarchia dell’azienda nel corso degli anni ed è diventato uno dei suoi massimi leader. Già con Steve Jobs aveva avuto ruoli chiave (iTunes, iLife e altri prodotti) e poi tutta la parte dei “servizi”, cioè la negoziazione dei contratti con il mondo della musica, poi del cinema e della televisione. A lui si possono imputare successi o fallimenti in queste e molte altre aree.
Nasce come “timido”, non a suo agio sul palco e adesso riscopre la sua vocazione di giullare in pubblico, con siparietti a distanza con Craig Federighi (la passione-ossessione per il karaoke e la musica caraibica e cubana) oppure con l’uscita sul compleanno di Phil Schiller, un modo anche per dare pochi secondi (imbarazzanti) di visibilità in un Keynote dove non era prevista la presenza del capo del marketing se non per un breve video sull’importanza delle app.
E proprio queste “improvvisate”, che chissà poi se tali sono, fanno parte di una ipotizzabile oltre che ipotetica strategia di costruzione dei “personaggi” di Apple, tutte declinazioni personalizzate di tipi da commedia, capaci di muoversi a loro agio su un gigantesco palcoscenico e colpire l’immaginario portando avanti ruoli di intrattenimento che Jobs avrebbe probabilmente tollerato solo fino a un certo punto. Ma dopotutto, ruoli complementari e massimamente di aiuto per un nuovo Grande Capo in realtà molto freddo e poco “attore”, almeno rispetto a Steve Jobs. Tim Cook ha tante qualità ma non quella di essere “sciolto” sul palcoscenico. E per bilanciare una certa rigidità dell’uomo si può immaginare la scelta di creare personaggi più divertenti e capaci di alleggerimenti.
Il Keynote dei record, dalla durata monstre di due ore e 24 minuti di ieri ne è un esempio. Come fare a sopravvivere a una diretta altrimenti mortale se non facendo di conto anche sulla capacità da saltimbanco soprattutto di Craig Federighi? E come lasciare un segno sulla musica se non interpretando un personaggio competente ma al tempo stesso non troppo irrigidito, formale, ufficiale. Dopotutto, come nella migliore storia americana, quella dei keynote di Apple è una rappresentazione messa in piedi per tanti pubblici diversi ma che deve far finta di parlare sempre e soltanto all’onnipresente “cliente”. Un destinatario ritualizzato che si attende certi alleggerimenti e certe possibili interpretazioni del ruolo di capo area nella prima azienda al mondo per capitalizzazione. Un approccio che in altri settori avrebbe prodotto dirigenti in abito di sartoria e cravatta tessuta a mano, irraggiungibili e lontani, quasi diafani nelle loro manifestazioni. Non è così per Apple e non è così per Eddy Cue.
L’uomo ha un ruolo chiave di guida del software e servizi. Sul suo regno digitale non tramonta mai il sole. Si capisce che anche tra gli altri viene trattato in modo particolare, come qualcuno in grado di fare cose insostituibili (chi potrebbe parlare quotidianamente con Iovine altrimenti). Che secondo Apple peseranno sempre di più.