Nell’industria della vecchia televisione analogica, quella che dagli anni Ottanta in Italia è diventata più vivace grazie alle televisioni private ma che tale già era negli Stati Uniti fin dagli anni Cinquanta-Sessanta, c’era un modo per chiamare gli spettatori. Erano i “pair of eyeballs”, le paia di occhi. Quante paia di occhi abbiamo conquistato? Quante paia di occhi sono state messe davanti al nostro prodotto?
L’epoca d’oro della tv commerciale
Era la televisione commerciale, quella della pubblicità come motore dell’economia, in cui il tema non era tanto politico (come accadeva nei paesi dove vigeva la censura e si facevano questione politiche su un aggettivo usato a “sproposito” da un conduttore) quanto economico. Il pubblico, le “paia d’occhi”, non doveva pagare niente perché era il prodotto che veniva venduto. Mentre il cliente erano le aziende inserzioniste di pubblicità, che infatti pagavano. E i programmi erano gli intermezzi tra una pubblicità e l’altra, pensati per acchiappare il pubblico, cioè il prodotto, e guadagnare quindi di più sul prezzo degli spot (perché c’era un’audience alta!) con gli inserzionisti.
(Il ragionamento funziona anche per la nostra vecchia televisione, con la dovuta eccezione della presenza del canone, la tassa che in Italia e altri paesi europei paghiamo allo stato se possediamo un televisore)
Oggi non è più così
Un mondo antico, forse affascinante, sicuramente passato. O forse no? Perché le logiche e le dinamiche della pubblicità come motore dell’economia della comunicazione si sono rimesse in moto con Internet, come sappiamo bene. E, oltre agli spot o “ads” di Google, hanno trovato un altro canale per essere veicolate: i social.
A pensarci bene, i social sono geniali: a grandi linee stesso modello della televisione tradizionale (pubblico, inserzionisti, spot e contenuto) ma con due differenti. Prima di tutto il tracking, che rende molto più precisa la profilazione degli utenti e quindi l’efficacia presunta delle pubblicità, che vengono veicolate con grande precisione (pubblicità di pannolini per le neo-mamme e non per tutti quanti nei programmi del pomeriggio). E poi il contenuto: che era un bel costo per la televisione ma che nei social ce lo mettono gli utenti stessi. Perché Facebook, X/Twitter, Instagram, YouTube e tutti gli altri sarebbero completamente vuoti se non ci fossero gli utenti che creano e caricano cose.
Un altro mercato
Questo ha cambiato la dinamica e le regole di ingaggio, come sappiamo. Ci sono gli algoritmi, c’è l’eccesso di stimolo, la qualità che tende “naturalmente” al basso perché gli algoritmi selezionano e premiano i contenuti che dividono ed eccitano, non quelli che uniscono e moderano. Infine, c’è la manipolazione (c’era anche prima, adesso è cambiata), perché siamo in mancanza di regole chiare e di una barriera all’entrata. Manipolazione commericale, sociale, ma anche politica. Prima erano i gruppi “vicini” agli editori a indirizzare il dibattito, adesso sono quelli con le capacità tecniche e il budget per comprare gli spazi e generare i contenuti “giusti”.
Il vecchio e il nuovo
Nei vecchi mezzi di comunicazione di massa il controllo era fatto a monte perché il modello era il broadcasting: da uno a tutti. L’emittente è un editore che ha una sua linea editoriale e il controllo assoluto su quel che va in onda. Stessa cosa per i libri e i giornali tradizionali.
Poi sono arrivati i blog, il self publishin, i podcast e i social, e non c’è più un editore che abbia il controllo di quello che viene comunicato, trasmesso, condiviso, scritto, mostrato. Certo, non tutti vedono tutto. Le piattaforme filtrano. Ma non fanno una censura (se non a grandissime linee, e neanche sempre) ma fanno piuttosto una cura algoritmica per instradare quello che piace ed eccita verso le persone a cui piacerà ed ecciterà. Ad esempio, contenuti divisivi, magari teorie del complotto, fake news, cattiverie, ignoranza.
Se da un lato i nuovi controllori del traffico dentro le piattaforme oltre agli algoritmi sono gli influencer (che come dice il nome stesso “influenzano” e riorientano le persone perché sono i pochi a cui molti guardano per sapere di cosa parlare), dall’altro le logiche dipendono anche dalle piattaforme stesse. Chi controlla la piattaforma, apre per le paia d’occhi degli spettatori una finestra su un mondo la cui prospettiva in buona parte controlla perché ne stabilisce le regole.
TikTok
A pensare male si fa peccato ma spessi si ha ragione, diceva un vecchio politico italiano. E a pensare male di TikTok, social video verticale gustoso e goloso come il miele per le api, si fa sicuramente male, ma probabilmente ci si azzecca anche.
Almeno, questo pensano gli americani. Che come sappiamo sono in guerra commerciale ed economica con la Cina. Ma è anche una guerra strategica, politica e potenzialmente militare. Come se poi fosse possibile fare una distinzione tra le due tipologie di guerre: gli Achei andarono ad assediare la città di Troia certamente per riprotare in patria Elena, “rapita” dal principe Paride. Ma se anche Menelao pensava agli affari di cuore, Agamennone avaeva chiaro che prendere Troia voleva dire assumere il controllo di un’area strategica dal punto di vista militare e commerciale.
Il fascino per il nemico
Torniamo a TikTok. Che c’azzecca?, avrebbe chiesto quell’altro? La lettura dell’ordine del congresso americano che ha bandito il social cinese è legata al rischio per la sicurezza. Una app cinese, così come un telefono cinese, per quanto prodotti da aziende private, sono pur sempre fatti in un paese dove lo stato, cioè la comunista Pechino, può ordinare a tutti di fare quel che vuole. Può entrare nelle fabbriche e far mettere chip segreti che spiano. Può entrare nelle aziende e far mettere nei server dei loro servizi e nel codice delle loro app altre “cimici”.
Potrebbe averlo fatto con Huawei e altre aziende che producono hardware. Ma potrebbe averlo fatto anche con chi fa software. Da qui il pericolo per la riservatezza dei dati. Non tanto la privacy, che negli Usa viene considerata in maniera molto diversa che da noi, quanto della sicurezza nazionale. Proprio la capacità di spiare.
Peccato che TikTok sia un grande successo e venga usata da 170 milioni di americani. E questo è un problema non solo di sicurezza ma anche commerciale per tutti gli altri social. Che, guardacaso, sono tutte aziende americane.
La posizione americana
Per dirla semplice: s’è mai c’è stata un’app più americana di TikTok, con la sua creatività democratica e disordinata, il suo esibizionismo, la sua assoluta mancanza di limiti e la sua grande varietà di truffatori, non sapremmo dire quale possa essere. Certamente è un simpatico guazzabuglio, ancora più di Instagram, di Facebook, di YouTube (e adesso anche di Linkedin).
Eppure, naturalmente, TikTok non è americano, ed è per questo che a marzo la Camera dei Rappresentanti ha approvato, con ampio sostegno bipartisan, una proposta di legge che costringerebbe i proprietari cinesi del gigante delle videoapp a vendere a un proprietario non cinese o a subire un divieto.
Il legislatore sostiene che si tratta di una minaccia per la sicurezza nazionale e che il governo cinese potrebbe appoggiarsi al suo proprietario, ByteDance, per ottenere dati sensibili degli utenti statunitensi o influenzare i contenuti dell’app per servire i propri interessi.
Singolare ragionamento, perché potrebbe spingere rapidamente anche l’Unione europea a fare altrettanto. E forse, seguendo questa linea di pensiero, si dovrebbe davvero. Solo che poi gli Stati Uniti diventano fortissimi avversari delle legislazioni europee che cercano di regolamentare, contenere e indirizzare le aziende che producono tecnologia, che la usa e gli strumenti che creano per trattare i dati delle persone: dal GDPR in poi, per intenderci.
TikTok piace perché piace
L’app di ByteDance TikTok, sbarcata ufficialmente negli Stati Uniti nel 2018, è stata l’app più scaricata nel Paese e nel mondo nel 2020, 2021 e 2022. Non che gli elementi che la compongono fossero così nuovi: i video super-agitati e spesso ego-riferiti di persone sconosciute erano da tempo un punto fermo della cultura pop americana. Tuttavia, TikTok ha messo insieme i pezzi in un modo nuovo. Come dice Mark Zuckerberg, “ha inventato una nuova meccanica del social”. E quando uno inventa una meccanica nuova, poi è in posizione di estremo vantaggio.
A differenza di Instagram, Facebook o Snapchat, TikTok non si è costruito intorno alle connessioni sociali. Il suo obiettivo è l’intrattenimento puro e semplice. L’algoritmo ingerisce tutti i dati possibili: dquello che gli utenti hanno saltato, apprezzato o condiviso. E li ha sputati direttamente nella pagina “Per te”, che dà forma a una specie di dipendenza da video capace di inchiodare le persone per ore e ore allo schermo del telefonino.
Ci sono persone ipnotizzate da TikTok che dicono apertamente e con stupore e malcelata ammirazione che l’algoritmo li conosce meglio di loro stessi. Sa cosa gli piacae, cosa gli indigna, cosa li commuove, cosa li eccita. E cosa li fa pensare.
Psicanalisi dell’America di oggi
Si potrebbe immaginare un’analisi di tipo psico-sociale per capire la passione da un lato e la resistenza politica dall’altro dell’America di oggi a TikTok.
Invidia di un sistema che funziona così bene. Paura che possa manipolare l’opinione pubblica in vista delle elezioni (magari Donald Trump?) senza una chance di controllarlo perché è di proprietà di un’azienda straniera. Genuina preoccupazione che possa rubare dati sensibili. Chissà.
Invidia, ma anche rabbia, ma anche narcisismo e volontà di potenza (il predominio tecnologico e politico-militare sul pianeta) frustrate da un’altra potenza che vince a un gioco inventanto dagli americani stessi.
Resta solo la realpolitik
Ma le letture psico-sociali non funzionano da quando l’Italia ha dato al mondo Nicolò Machiavelli. Il fondatore della scienza politica moderna ha creato i concetti di ragion di stato e di autonomia della politica da ogni altra forma di legame (sociale, delle regole morali, ideali, dogmatismi e principi teorici). La politica guarda la realtà effettuale delle cose e si fa influenzare solo dai fatti.
E nei fatti TikTok è scomodo, molto scomodo. Un problema da eliminare il prima possibile, per la politica e l’industria tech americana. E il Congresso si è dato da fare: è molto semplice.