Non è colpa di Durov se gli utenti abusano di Telegram: a scriverlo è la stessa piattaforma tramite i suoi canali social in risposta all’arresto del suo fondatore in Francia.
Il fatto è avvenuto intorno alle ore 20:00 di sabato 24 Agosto grazie ad una operazione congiunta tra le autorità francesi e le agenzie internazionali, che avevano monitorato gli spostamenti di Durov per settimane. Se ne è occupata la Gendarmeria dei Trasporti Aerei francesi (GTA), che ha sequestrato anche diverso materiale informatico e alcuni documenti presenti nel suo jet privato.
Pavel Durov non ha nulla da nascondere – scrive Telegram – e in sua difesa aggiunge che ritiene “assurdo affermare che una piattaforma o il suo proprietario siano responsabili dell’abuso di quella piattaforma“. L’accusa per cui l’uomo è attualmente agli arresti sul territorio francese è infatti rivolta all’incapacità dell’app nel reprimere la circolazione dei contenuti illegali: come se dovessimo ritenere Einstein colpevole dei danni provocati dalla bomba atomica solo perché con la sua teoria della relatività ha posto le basi per la scoperta di questa forma di energia.
Il vero problema di Telegram (per gli altri)
In realtà “la colpa” di Telegram è molto più sottile e va ricondotta alla sua mancanza di collaborazione con la polizia, alle cui fondamenta ci sono i solidi concetti con cui il suo fondatore ha deciso di costruire la sua piattaforma.
Da anni infatti le agenzie governative vogliono mettere le mani sul codice dell’app, ma ha sempre ricevuto picche: caso emblematico è quello dell’intelligence russa (FSB) che nel 2013 chiese a Durov, all’epoca CEO di VK – uno dei più grandi social network in Russia e Ucraina – di fornire i dati privati degli utenti ucraini che protestavano contro un presidente filo-russo.
Durov si rifiutò di soddisfare queste richieste perché, citando le sue stesse parole, «ciò avrebbe significato tradire i nostri utenti ucraini». Quello che poi successe è scritto nella storia: fu licenziato dall’azienda che aveva fondato e fu costretto a lasciare la Russia.
Pochi mesi dopo arrivò Telegram (questa volta con sede a Dubai), che fin dalla sua prima versione come dicevamo condivide le stesse radici del pensiero di Durov. Il governo russo provò nel 2018 a bloccare l’app nel paese, ma due anni dopo dovette rimuovere il divieto ammettendo così indirettamente il fallimento dell’operazione.
Il punto fermo di Durov
D’altronde Durov su questo è sempre stato chiaro e irremovibile: «se l’FSB si limitasse a chiedere informazioni su alcuni terroristi, la sua richiesta rientrerebbe nel quadro della Costituzione» – scriveva nei giorni in cui la Russia bloccava la sua app; «tuttavia, stiamo parlando del trasferimento di chiavi di crittografia universali ai fini del successivo accesso incontrollato alla corrispondenza di un numero illimitato di persone. E si tratta di una violazione diretta dell’articolo 23 della Costituzione sul diritto di ognuno alla riservatezza della corrispondenza».
Il quadro della situazione odierna
A fronte di ciò, il recente arresto di Durov appare ancora poco chiaro anche per altre ragioni. Non solo perché non si conoscono le cause del suo atterraggio sul suolo francese, dove ben sapeva di non essere gradito (un problema al veicolo?), ma anche perché come dichiara la sua piattaforma, «Telegram rispetta le leggi dell’UE, incluso il Digital Services Act» e «il modo in cui viene moderata rientra negli standard del settore ed è in costante miglioramento».
Certo è che per Telegram, tra le piattaforme di social media più popolari soprattutto per via della sua natura – da una parte luogo di aggregazione grazie a chat e gruppi, dall’altro un punto di riferimento per l’informazione diretta attraverso i canali – la situazione appare precaria. Le sue sorti in Europa si potrebbero decidere nelle prossime settimane, un fatto che interessa “quasi un miliardo” di utenti attivi ogni mese.
L’ambasciata russa in Francia si è subito attivata «per chiarire la situazione del cittadino russo arrestato» e la stessa portavoce del ministero, Maria Zakharova, ha commentato aspramente la cattura dicendosi curiosa di scoprire se le organizzazioni per la libertà di espressione e dei media «chiederanno il suo rilascio o ingoieranno la lingua».
Ora è attesa una dichiarazione dalla Procura di Parigi, che dovrebbe essere rilasciata tra poche ore.
A proposito di Telegram
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