Al suo sbarco sullo Store, nello scorso gennaio, aveva tutte le premesse per essere uno dei best seller dell’anno: la ripresa delle dinamiche base di un classico che a fine anni ’90 aveva lasciato il segno, l’aggiornamento dell’interfaccia e della grafica per svecchiarlo e tagliarlo a misura mobile e soprattutto come sviluppatore un vero e proprio colosso dei videogame. Eppure per Dungeon Keeper non è andata propriamente così. Il nodo non è la qualità del prodotto, ma la scelte commerciali per la distribuzione, con una sfilza di acquisti in app che hanno influito enormemente proprio sull’esperienza dell’utente. E dopo la valanga di critiche, adesso arriva anche una condanna da parte dell’Advertising Standards Authority britannica – l’equivalente del nostro Garante per le comunicazioni – a causa della pubblicità ingannevole con la quale EA ha pubblicizzato il gioco. «Il gioco – dice la Asa – non può più essere pubblicizzato come free to play» a causa delle oggettive limitazioni di chi sceglie di non fare successivi acquisti in app. Insomma, anche per il garante inglese, Dungeon Keeper è ingiocabile senza spendere soldi. Il caso si innesta nel problema più vasto della pubblicità ingannevole riguardo ad applicazioni presentate come gratuite, dove poi vengono proposti acquisti per sbloccare livelli o velocizzare il progredire del gioco.
Ma al di là di queste riflessioni, resta il vero e proprio flop di Dungeon Keeper, reso ancora più grande forse proprio dall’aspettativa che aveva generato. Paradossale che ad attaccarlo (o meglio ad attaccare certe scelte di EA) era stato il suo stesso “padre”, che lo aveva curato e sviluppato nel 1997 per PC, Peter Molyneux. «Mi aspettavo un remake dell’originale, ma quello che EA e Mythic hanno fatto è stato reinventare il gioco per l’universo free-to-play – aveva detto Molyneux come riportato da Macity -. In quanto giocatore, però, la struttura free-to-play punisce la mia impazienza, e questo va del tutto in contrasto con le meccaniche di Dungeon Keeper». Molyneux ha continuato il suo rimprovero nei confronti dell’industria dei videogiochi: «Quello che stiamo facendo è colpire gli utenti con un martello; li stiamo punendo, comunichiamo con loro come fossero dei bambini e li maltrattiamo dicendo ‘siate pazienti oppure pagate’».
A fare il mea culpa anche il Ceo di EA Andrew Wilson. «Da questa storia abbiamo imaparato due cose – ha detto in un’intervista di qualche setimana fa – una è che quando si ha a che fare con titoli che hanno un passato storico, anche se ci si trova a reinventarli per un nuovo pubblico, bisogna fare del nostro meglio per rimanere fedeli alla loro essenza originale”, ha riferito Wilson, “l’altra è che, quando ci si trova a proporre un modello con micro-transazioni o abbonamento, bisogna sempre tenere presente il giusto valore da dare ai soldi spesi».