Adobe aveva annunciato l’acquisizione di Figma, una delle società (l’altra è Canva) che stanno dominando il mercato del design collaborativo online, ma l’ha abbandonata. Figma e Canva hanno tutto quello che Adobe non ha, inclusa la leggerezza delle nuvole e un modello di business molto più smart, senza codice “antico” e problemi di retrocompatibilità di prodotti e documenti.
Tutte cose che facevano molto gola ad Adobe, al punto da farle spendere 20 miliardi di dollari. Il fatto che l’acquisizione sia fallita è dovuto alle decisioni degli antitrust e delle altre entità che regolano la competizione sul mercato negli Usa e in Europa, ma anche e soprattutto per un mutato clima per quanto riguarda le concentrazioni.
Adobe finora ha evitato molti dei problemi che sono arrivati frontalmente per altre aziende (basta vedere cosa sta succedendo con Google per il suo negozio e cosa potrebbe succedere anche ad Apple) per capire che il clima è cambiato.
Un’epoca è finita
L’epoca della “carta bianca” dato ai big del tech (fu la presidenza di Barack Obama a sostanziarla come politica strutturata) è finita e adesso si va in una direzione completamente diversa. Gli Usa, come l’Europa, si stanno tirando assieme e mettendo fuori delle politiche di tutela dei cittadini e di contenimento dei big della tecnologia.
Lo vedremo presto anche nel settore dell’intelligenza artificiale (la regolamentazione europea al riguardo non tocca solo la “materia” di per sé ma anche le strutture aziendali) ma lo stiamo vedendo nella forma che le compagini societarie possono assumere.
Inoltre, non dobbiamo sottovalutare il fatto che adesso i tecnici e i decisori degli antitrust stanno capendo sempre di più come funziona il mercato del digitale. Le regole dei bit sono diverse da quelle degli atomi e richiedono un approccio differente, che per due decenni i genietti della Silicon Valley sono riusciti a portare avanti.
Nuove dinamiche di mercato innestate dal digitale (coda lunga, tecnologie disruptive, legge dei rendimenti crescenti) cambiano totalmente il modo con cui pensare l’attività di una azienda e il suo impatto sul mercato: una acquisizione strategica che in altri settori verrebbe valutata solo dal punto di vista delle quote di mercato adesso è analizzata sotto molti più profili.
Le conseguenze strategiche
La naturale tendenza al monopolio e all’abuso del potere che ne deriva è intrinseca al mondo della tecnologia e i correttivi stanno arrivando. Le aziende lo hanno capito e quando Adobe ha gettato la spugna possiamo sostanzialmente ascriverlo come il momento storico in cui questo è successo.
Nel breve periodo questa cosa provoca soprattutto una perdita per Adobe (un miliardo di penale pagato a Figma) e per i dipendenti, che avrebbero avuto azioni totalmente liquide e avrebbero potuto incassarle facilmente anche senza andare sul mercato.
Le conseguenze di secondo ordine
Tuttavia, una ulteriore considerazione che si può fare è quella che riguarda le conseguenze di secondo ordine nel medio-lungo periodo. Quali sono le conseguenze se Adobe non acquista Figma?
Basta fare un paio di passi indietro e andare a vedere in prima battuta le ragioni per le quali Adobe aveva deciso di spendere 20 miliardi di dollari per acquistare Figma.
La cifra era oggettivamente alta, uno sforzo importante per fare un passaggio che aveva uno scopo evidente: non tanto comprarsi un concorrente ed entrare in un mercato relativamente nuovo, con una classica acquisizione combo (tecnologie e clienti di Figma), quando per uccidere per prima un suo potenziale killer.
La mitologia e la strategia
Quello che Adobe stava cercando di fare è quello che gli antichi greci avevano immaginato con il mito di Crono, Titano del tempo (ma anche dell’agricoltura e della fertilità) e re dei Titani, che si mangiava i suoi stessi figli per evitare di essere ucciso e sostituito. Cosa puntualmente accaduta quando Zeus è sfuggito all’ordalia grazie alla madre Rea e poi ha fatto fuori il padre, creando l’Olimpo, cioè il Pantheon delle divinità greche “moderne”.
Adobe-Crono si voleva mangiare Figma-Zeus proprio perché temeva (e probabilmente teme ancora) che quest’ultima abbia azzeccato il nuovo ciclo della creatività digitale e che un giorno non lontano farà fuori Adobe, diventando la nuova regina del settore.
Cosa serve perché questo accada? Relativamente poco. L’avanzare della tecnologia, il potenziarsi dei dispositivi e delle connessioni con il cloud, tanta intelligenza artificiale e il ricambio con una nuova generazione di creativi: i giovani abituati alle metafore e agli schemi lavorativi di Figma, molto più leggeri rispetto alla pesantissima eredità di Adobe.
Il vecchio e il nuovo
Adobe è un colosso della creatività, che possiede decine di “proprietà digitali”, software e app per fare cose: veramente tantissime in tantissimi ambiti diversi, tanto che alle volte si rischia da fuori di non rendersi neanche conto di quanto ampia e pervasiva sia la penetrazione di Adobe nel mercato della creatività digitale.
Una ampiezza e pervasività alimentata anche da una serie di acquisizioni passate che hanno fatto fuori i principali concorrenti dell’azienda e consolidato nelle sue mani, tra non poche polemiche, vari mercati, dall’impaginazione al montaggio video.
Oggi cosa sta succedendo? Semplice, Adobe sta rivedendo i suoi piani e cerca di trovare una strada diversa in un mare che è abbastanza periglioso. Ma il vero punto da mettere a fuoco non è tanto cosa sta facendo Adobe, quanto la sua valutazione dell’importanza di Figma e l’attenzione a quello che soprattutto questa azienda farà nei prossimi anni. Una rivoluzione, probabilmente.
Tutte le notizie di macitynet che parlano di Mercato e Finanza sono disponibili a partire dai rispettivi collegamenti.