Donald Trump è il 45° presidente degli Stati Uniti. Ribaltando tutti i pronostici di un’estenuante campagna elettorale con immancabili polemiche e colpi bassi, gli americani hanno eletto il successore di Barack Obama. Non tocca a noi fare l’analisi politica del voto ma il nostro sito si occupa di tecnologia e principalmente di Apple e sarà interessante vedere in che modo Trump influenzerà scelte e strategie delle aziende tecnologiche.
Nel suo programma economico Trump ha promesso di abbassare le aliquote fiscali per le imprese e le persone fisiche, proposta definita “la più grande riduzione dai tempi di Ronald Reagan”. L’idea di Trump è tagliare le imposte sul reddito delle imprese a 15% e diminuirà a tre i sette scaglioni esistenti riguardanti le persone fisiche – al 12%, 25% e 33%. Trump ha detto che eliminerà la tassa di successione e che impedirà alle multinazionali di rimandare il pagamento delle tasse sui redditi all’estero istituendo una “tassa di rimpatrio” del 10% sugli oltre 2 mila miliardi di dollari di entrate che varie aziende hanno all’estero.
Il trasferimento di profitti all’estero consente alle aziende USA di abbassare il tax rate anche per le imposte da pagare in casa. Apple ha un tax rate medio del 26% (media degli ultimi tre trimestri) rispetto al 35% del tax rate federale sugli utili delle aziende statunitensi. Ad agosto di quest’anno il CEO di Apple Tim Cook ha spiegato che Apple ha versato 14 miliardi di dollari al fisco americano, una cifra superiore alla somma delle tasse pagate da Microsoft, Google e Ibm. Se Trump farà quanto promesso, Apple – anche sulla spinta della Commissione europea per il versamento d’imposte arretrate (13 miliardi di euro), potrebbe essere far rientrare i capitali.
Con la legge attuale, l’aliquota massima per le multinazionali è del 35%. Trump ha promesso di ridurla al 15%, consentendo ad Apple maggiori profitti e potenzialmente la possibilità di abbassare i prezzi. Il problema è che allo stesso tempo il nuovo presidente ha parlato di imporre tariffe contro prodotti realizzati in Cina e Messico, una politica che potrebbe influire notevolmente sui margini e i prezzi di vendita per qualsiasi dispositivo che l’azienda produce in Cina e vende negli USA.
A proposito di produzione, a gennaio Trump aveva parlato della necessità di portare il lavoro nel Paese; parlando espressamente della Casa di Cupertino aveva detto: “Costringerò Apple ad abbandonare la Cina e produrre i suoi dannati computer e l’altra roba qui». Il sogno del nuovo presidente, assemblare e produrre un iPhone con manodopera statunitense e componenti al 100% prodotti in USA, è ad ogni modo impossibile come dimostrato tempo addietro da uno studio scientifico di MIT Technolgy Review che spiega in dettaglio (ne abbiamo parlato qui) perché è effettivamente impossibile o ad ogni modo complesso e costoso produrre dispositivi sul territorio USA.