Jennifer Golbeck di Slate.com ha pubblicato un interessante articolo in cui affronta le tematiche legate alla nostra identità online e la nostra appartenenza ai social network, citando anche alcuni strumenti “interpretativi” della rete. Siamo (quasi) tutti iscritti ai vari social network e siamo convinti di pubblicare cose di poca importanza, come l’ultima attrice che ci piace o il ristorante dove siamo stati, un abito che ci ha colpito o un “mi piace” su una foto che mostra un paradiso tropicale. Queste sono però informazioni rilevanti e gli algoritmi dei social network sono in grado di filtrare quello che noi pubblichiamo e di trarne un profilo personale più o meno corretto, su quali possano essere i nostri gusti e il nostro carattere.
Gli algoritmi sono in grado di creare combinazioni diverse a seconda non solo di cosa pubblichiamo personalmente, ma anche confrontandoli con altri profili a cui piacciono diverse cose simili alle nostre. Pensiamo di condividere informazioni di poco conto ma la privacy non esiste praticamente più. Gli algoritmi lavorano filtrando i dati tramite concetti di psicologia e sociologia, sono quindi in grado di farsi un’idea su di noi, che non possiamo conoscere.
Per esempio si basano sul concetto sociologico di omofilia, in base al quale le persone tendono a circondarsi ed essere amiche di chi è simile a loro: per cui se un nostro amico mette mi piace a qualcosa e lo mettiamo anche noi, veniamo in automatico abbinati a loro e ai loro gusti, anche a quelli che non condividiamo. La cosa positiva è che almeno per ora, sono inaccessibili al pubblico, ma se questi strumenti col tempo venissero migliorati? Se uscissero segreti inesistenti ma che potrebbero farci perdere il posto di lavoro o incolparci per eventi mai commessi?
Uno studio del 2013 su 60.000 utenti di Facebook dimostrò come dai semplici “mi piace” cliccati sui vari link si potessero ottenere informazioni private non solo su gusti personali come l’orientamento sessuale, ma anche sulla propria religione, politica o cattive abitudini. In base a cosa pubblichiamo o a cosa ci piace, gli algoritmi sono in grado insomma di capire qualcosa di noi e classificarci in un determinato gruppo. Jennifer Golbeck evidenzia come siano comparsi sul web un paio di siti utili per capire che ragionamento possano fare su di noi gli algoritmi. Il primo è YouAreWhatYouLike: in base ai dati postati sui social network, gli algoritmi sono in grado di valutare se abbiamo una personalità introversa o estroversa, solare o cupa, se siamo ambiziosi sul lavoro o emotivamente stabili.
Il secondo è Apply Magic Sauce ed è in grado di fare previsioni sulle nostre idee religiose, politiche e sessuali. Questi due per quanto riguarda Facebook, per Twitter abbiamo invece AnalyzeWords che funziona su un diverso principio: si basa su cosa esprimiamo sul tweet a livello linguistico e non tanto sugli argomenti espressi. Il concetto di privacy è molto labile quando si parla di social network e l’unica via d’uscita sarebbe quella di non essere iscritti, ma ormai non ne possiamo più fare a meno.