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Diego Piacentini: «Meglio provarci e non farcela che avere il rimpianto tutta la vita»

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Chiamate Diego Piacentini idealista, chiamatelo folle, o forse pensate male, che stia predicando bene ma in realtà abbia i suoi piani inconfessabili.

Lui vi risponderà, come nell’intervista a Repubblica pubblicata oggi, togliendosi gli occhiali, guardandovi con gli occhi da miope di 55 anni, 13 ai vertici di Apple in Europa e 16 come numero due di Amazon, e vi risponderà così: “Ho rinunciato allo stipendio italiano e ai rimborsi spese, ho congelato il mio stipendio americano e le azioni sono blindate: pago tutto con la mia carta di credito personale perché sono stato contagiato da un’idea forte, quella di restituire al proprio Paese.”

Diego Piacentini è così: fa parte di una ristretta elite di manager italiani che hanno avuto successo all’estero al di sopra di ogni limite e confine. Ha lavorato spalla a spalla con Steve Jobs (“Steve a volte era davvero duro e, diciamo, poco educato. Ma era un autentico genio”) e Jeff Bezos (“ho imparato da entrambi l’importanza di essere diretti con le persone, di dire davvero quello che si pensa, senza finzioni”), ha costruito tantissimo, se fosse ancora a Seattle “mi sarei sicuramente divertito a inventare cose nuove”.

Ma aggiunge anche a Mario Calabresi: “Ma un giorno mi sarei guardato allo specchio e avrei detto: “ma perchgé non ci ho provato?”. Meglio correre il rischio di non farcela che rimpiangere di non aver avuto il coraggio”.

In azione sul palco Diego Piacentini, Senior Vice President International di Amazon
2013 Diego Piacentini, Senior Vice President International di Amazon fotografato in una presentazione in Italia

Per chi lo conosce, il tratto più chiaro e convincente che emerge dall’intervista di Calabresi su Repubblica è che emerge proprio lo spirito di Piacentini: “no non-sense man”, come dicono gli americani. Un manager tosto, che ha capito e vive profondamente l’idea che nel business e nella vita ci sia etica. E che valga la pena vivere intensamente le proprie convinzioni.

Dice: “Sono venuto con l’obiettivo di rendere la vita più semplice ai cittadini, semplificando il rapporto con le Istituzioni, e per far sì che la macchina dello Stato sia in grado di usare le tecnologie come accade in Gran Bretagna o negli Stati Uniti. Un rapporto semplice tra Stato e cittadino è condizione necessaria per sviluppo economico, perché stimola gli investimenti anziché frenarli”.

L’azione sarà sull’arco di due anni, simile a una startup anche se, si spera, con una possibilità di successo superiore a quell’1-5% che attualmente tocca alle piccole aziende che partono dal basso. L’obiettivo di Piacentini non è chiudere il progetto, ma impostarlo, iniettare un DNA diverso che trasformi il ruolo della pubblica amministrazione nella vita del cittadino.

La chiave è la tecnologia, la capacità di cambiare tutto che il digitale porta con sé e che sarebbe previsto nelle normative che rientrano nell’ambito dell’Agenda digitale. Le buone intenzioni ci sono, ma il diavolo sta nei dettagli, anzi nell’implementazione.

Per questo la startup di Piacentini che sta nascendo a Roma, quaranta kamikaze che dovranno fare la differenza (perché nelle startup i dipendenti sono pochissimi e fanno tantissimo), ha un obiettivo: costruire l’identità digitale del cittadino. Perché? Cosa cambierà? Lo spiega Piacentini a Calabresi: “Ognuno di noi avrà un’identità sempre aggiornata.

Non ho bisogno di dimostrare che esisto, sono nato, sono sposato o dove abito. Oggi devi certificare o autocertificare ancora troppe cose, ma se l’anagrafe è costruita con tecnologie che tutte le amministrazioni pubbliche condividono, allora non devi più certificare di esistere e tutto diventa accessibile e aperto”.

Quella di Repubblica è una intervista molto interessante, perché Piacentini è veramente, in potenza, l’uomo giusto al posto giusto. Quello che potrebbe fare la differenza. Matteo Renzi l’ha fortemente voluto, ha insistito per mesi, e alla fine per fortuna il manager ha ceduto.

Per restituire al Paese, il concetto americano del “give back”. Lo spiega lui: “Appena arrivato a Seattle nel 2000 venni invitato ad una cena di beneficenza organizzata dalla scuola elementare pubblica in cui avevamo iscritto il figlio più grande. Mia moglie, che a Milano l’anno prima aveva raccolto 800mila lire per l’asilo, era molto curiosa. Restammo sconvolti quando sotto i nostri occhi vennero raccolti 170mila dollari per finanziare le attività scolastiche. Uno dei commensali ci disse: è quasi un obbligo morale: hai avuto successo e restituisci a chi ti ha formato”.

Questo è il vero cambiamento culturale che Piacentini vorrebbe portare in Italia. Purtroppo probabilmente sarà più facile dare una identità digitale a tutti gli italiani e rendere informatica 4.0 tutta la pubblica amministrazione centrale e locale.

Diego Piacentini

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