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La tecnologia PCM a 3-bit: così farà diventare più veloci telefoni e computer

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Per la prima volta è stata dimostrata la possibilità di memorizzare in modo affidabile 3 bit di dati in una singola cella utilizzando una tecnologia relativamente nuova di memoria, nota come memoria a cambiamento di fase (Phase-change memory – PCM).

L’attuale panorama delle memorie spazia dalla ormai veneranda DRAM agli hard disk, all’onnipresente flash. Tuttavia, negli ultimi anni, la PCM ha attirato l’attenzione del settore come potenziale tecnologia di memoria universale, sulla base di una combinazione di velocità in lettura e scrittura, resistenza, non volatilità e densità. Ad esempio, la PCM non perde dati quando viene spenta, a differenza della DRAM, e la tecnologia può sostenere almeno 10 milioni di cicli di scrittura, rispetto a una comune chiavetta flash USB che non supera i 3.000 cicli di scrittura.

Gli scienziati di IBM Research prevedono di sviluppare PCM stand-alone, ma anche applicazioni ibride, che combinano PCM e storage flash, con la PCM che funge da cache estremamente veloce. Ad esempio, il sistema operativo di un telefono cellulare potrebbe essere memorizzato nella PCM, permettendo al telefono di essere avviato in pochi secondi. In azienda, interi database potrebbero essere memorizzati nella PCM, permettendo di effettuare interrogazioni rapidissime per applicazioni online che hanno come missione critica la velocità, come ad esempio le transazioni finanziarie. Anche gli algoritmi di apprendimento automatico, che utilizzano dataset di grandi dimensioni, sono destinati a ricevere un significativo impulso, con la riduzione dell’overhead e della latenza nella lettura dei dati tra iterazioni successive.

PCM

Come funziona la PCM
I materiali che costituiscono la PCM mostrano due stati stabili: una fase amorfa (senza una struttura chiaramente definita) e una fase cristallina (dotata di struttura), rispettivamente a bassa e alta conduttività elettrica.

Per memorizzare in una cella PCM uno “0” o un “1”, cioè un bit, viene applicata al materiale una corrente elettrica di alta o media intensità. Uno “0” può essere programmato per la scrittura nella fase amorfa, mentre un “1” nella fase cristallina, o viceversa. Viene quindi applicata una bassa tensione alla lettura del bit. E’ lo stesso meccanismo di funzionamento con cui i dischi Blue-Ray riscrivibili memorizzano i video.

In precedenza era stato già dimostrata con successo la capacità di memorizzare 1 bit per cella nella PCM, ma nell’ambito dell’IEEE International Memory Workshop di Parigi, gli scienziati hanno presentato con successo, per la prima volta, la memorizzazione 3 bit per cella in una matrice di 64.000 celle a temperature elevate e dopo 1 milione di cicli di funzionamento.

“La memoria a cambiamento di fase è la prima esemplificazione di una memoria universale con proprietà sia di DRAM che di flash, che risponde a una delle grandi sfide del nostro settore,” ha dichiarato il dott. Haris Pozidis, uno degli autori del documento nonché direttore della ricerca sulle memorie non volatili presso IBM Research a Zurigo. “Raggiungere i 3 bit per cella è una pietra miliare significativa, perché con questa densità il costo della PCM sarà decisamente minore di quello delle DRAM e certamente più prossimo a quello delle memorie flash.”

Per ottenere lo storage multi-bit sono state sviluppato due innovative tecnologie: una serie di indicatori privi di deriva sullo stato delle celle e schemi di codifica e rilevamento a deriva limitata.

Più in particolare, i nuovi indicatori sullo stato delle celle misurano una proprietà fisica della cella PCM che rimane stabile nel tempo, e sono quindi insensibili alla deriva che può compromettere la stabilità della conduttività elettrica della cella. Per garantire ulteriore protezione dei dati archiviati in una cella a seguito di variazioni della temperatura ambiente, viene impiegato un innovativo schema di codifica e rilevamento, che consente di modificare in modo adattivo le soglie di livello utilizzate per rilevare i dati memorizzati nella cella stessa, in modo da seguire le fluttuazioni dovute alla variazione di temperatura. Di conseguenza, lo stato delle celle può essere monitorato in modo affidabile su lunghi periodi di tempo dopo aver programmato la memoria, garantendo in tal modo la non volatilità.

“La combinazione di questi progressi permette di affrontare le sfide fondamentali poste dalla PCM multi-bit, tra cui la deriva, la variabilità, la sensibilità alla temperatura e la durata,” ha dichiarato il dott. Evangelos Eleftheriou, IBM Fellow. Il chip PCM multi-bit sperimentale è collegato a una scheda elettronica standard integrata, ed è costituito da una matrice 2×2 di microcelle con architettura interlacciata a 4 banchi. La dimensione della matrice di memoria è di 2×1000 μm × 800 μm. Le celle della PCM si basano su una lega di calcogenuro drogato e sono state integrate nel prototipo del chip che funge da veicolo di caratterizzazione nella tecnologia CMOS di riferimento da 90 nm.

Il salto tecnico di IBM che cosa potrebbe significare in termini di applicazioni pratiche per l’utente comune? Al momento è ancora presto per dirlo, ma l’aumento della densità di dati applicabile grazie ai 3-bit di dati per singola cella, diminuisce i costi e avvicina le memorie PCM ai prezzi di un SSD anche se ancora non li pareggia. L’elevatissima velocità potrebbe diventare utile, quindi, per creare dischi con memoria tampone dove ad esempio caricare il sistema operativo di un telefono o un computer per accesso molto più veloce di quello che è possibile alle memorie NAND dando beneficio in avvio alla macchina che quando questa fruisce di informazioni che arrivano dal sistema operativo stesso. In termini pratici sarebbe come avere un enorme memoria RAM non volatile, quindi che non perde le informazioni collocate in essa. La velocità non sarebbe esattamente la stessa (una memoria DRAM è ancora dieci volte più veloce di una memoria PCM), ma sarebbe enormemente più veloce che attingere ad un disco SSD.

 

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