La storia di Apple segue uno sviluppo lineare, come una curva che sale nel grafico. C’è un inizio piuttosto eclatante: il primo Apple costruito nel garage di Steve Jobs dal genio di Steve Wozniak è una macchina che rivoluziona il modo in cui concepiamo il computer personale. All’epoca esistevano solo grandi computer mainframe nelle università e nelle aziende (tipo il cervellone elettronico di 2001 Odissea nello spazio, per capirsi) e i primi, timidissimi home computer. L’Apple I fa la differenza, non soltanto per quello che può fare, ma per la potenzialità di crescita che porta con sé. E questo viene perfettamente fotografato da Apple II e successive varianti. Le macchine straordinarie che hanno fatto partire una via della rivoluzione personale dell’informatica: non l’ultima, forse la migliore, comunque un giardino fiorito di alternative.
Con Lisa prima e Macintosh poi Apple scommette sempre più sulla potenza, sulla capacità di calcolo, sulla macchia “chiusa” e capace di sviluppare la potenza di una compatta Workstation. A me fanno pensare alle vecchie Mini Cooper degli anni Settanta, che vincevano a sorpresa il rally di Montecarlo, piccole bombe piene di energia e potenza. Il design dell’All-in-One del primo Macintosh poi si disperde in una selva di prodotti alternativi. Sappiamo che Apple aveva “esternalizzato” il genio di Steve Jobs, il quale con NeXT aveva cercato di alzare ancora di più la mira: l’obiettivo era la NeXT Station, il potente Personal Computer che avrebbe dovuto dare gambe e potenza alle idee dei ricercatori universitari. Una macchina per aumentare la capacità dell’intelletto umano e per sperimentare con libertà, programmando, simulando, costruendo. Il mercato ha collaborato poco, ma quel poco ha avuto una certa qualità: Tim Berners-Lee ha usato una workstation di NeXT per costruire il primo World Wide Web al CERN di Ginevra.
Arriviamo al 1997, Jobs torna in Apple dopo una generazione infinita di Performa e di Quadra, di LC e di Anniversary, di macchine che si sovrappongono. Comincia l’era della semplificazione, Apple ritrova il suo spirito creativo e si focalizza con attenzione su pochi ma importanti temi. Il lavoro è fenomenale: le generazioni di Mac Pro che si succedono lasciano il segno e stabiliscono un nuovo standard per quanto riguarda tutte quelle innovazioni (dalla facilità di accesso all’interno della scocca sino al raffreddamento a liquido) che permettono di realizzare prodotti di punta. Certo, c’è la falsa partenza del Mac Cube, c’è l’iMac che “abbassa” il livello di potenza della linea di prodotti da scrivania. Ma tant’è: Apple non si ferma, va avanti, continua a costruire. Intuisce per prima che bisogna spingere sui portatili e ci dedica le sue migliori energie, ma non disdegna anche di fare piccoli capolavori come il Mac mini (utilizzato nelle server farm), il vecchio Xserve, e decine di altri prodotti innovativi e capaci di cambiare qualche regola tra quelle date per acquisite dagli attori tradizionali del mercato.
A questo punto siamo alla Apple senza più Steve Jobs, che ha fatto esercizio di focalizzazione e che ha apparentemente capito alcune cose su come si fa e quando si fa. Il lavoro per ridurre e miniaturizzare, rendere sottili e con lunghissima autonomia i prodotti prosegue, ma nonostante questo c’è chi ha ancora tempo per sperimentare e ragionare. Anziché guardare al mondo del Post-PC e al mondo dei portatili, dove dominano MacBook Pro retina e MacBook Air (due “concept” che basterebbero a fare le fortune di un intero settore industriale, come ha cercato disperatamente di chiarire Intel con i suoi UltraBook, sotto misura nonostante l’architettura inerente sia quella stessa utilizzata da Apple), ci sono ingegneri e dirigenti che valutano attentamente cosa succede dall’altro lato. Sul lato alto della corda, dove dominano i potenti bestioni che mandano avanti i sistemi più importanti. Attenzione, non più i super-computer fini a se stessi, perché tante cose adesso si fanno in remoto, con desktop virtualizzato, utilizzando rendering farm e altre cose che girano “dietro”. Ma c’è ancora spazio per un mercato, per quanto piccolo, ad alto valore aggiunto che ha bisogno di potenza e forza bruta? Di scatto felino e di unghie e zanne che non lasciano il segno: invece sbranano e divorano?
Attorno al nuovo Mac Pro, disponibile per l’ordine da domani, non c’è solo una innovazione schiacciante legata a un singolo fattore. Non c’è il teletrasporto, lo schermo multitouch, la levitazione artificiale. Non c’è mai stato un singolo fattore innovativo di successo nei prodotti Apple: sembra che sia così talvolta, e questo è davvero il lavoro più difficile che gli ingegneri di Cupertino riescono a fare: creare l’iPhone e dare l’idea che sia solo in parte innovativo. Ma non sono solo “in parte” innovativi: sono “radicalmente” innovativi, di una innovazione che è come illuminare la campagna invasa dalla nebbia, inventarsi una strada e percorrerla a forte velocità, mentre tutti gli altri ti vengono dietro con la tranquillità che ci dà vedere qualcuno che sa dove sta andando in un mondo insondabile e ovattato dalla bianca cecità.
Ecco, il nuovo Mac Pro è una macchina straordinariamente razionale che utilizza i processori Xeon di ultima generazione, le più moderne architetture, la nuova Thunderbolt, le memorie RAM più veloci, gli SSD più performanti, le schede video da combattimento. E poi porta avanti questo concetto: considera che le periferiche e le espansioni, grazie alla Thunderbolt 2, adesso possono stare fisicamente fuori dalla scocca del computer, e trasformano le dimensioni fino a ridurle miniali. Chi scrive ha visto e provato il Mac Pro brevemente in due differenti continenti e in tre o quattro occasioni, giungendo alla conclusione che il fattore di forma di tale computer è impressionante in quanto a compattezza ed efficacia. Qui si è tra l’altro scatenato il genio: visto che la macchina era ridotta e “stabile”, poiché le componenti aggiuntive si mettono fuori, ha una dimensione “congelata” come un computer portatile o come un All-in-One, suggerendo che sia possibile mettere un sistema di alimentazione e di raffreddamento innovativo. Detto fatto: in mesi, se non anni di esperimenti e tentativi, progettazioni e ripensamenti, è arrivata l’idea di un triangolo immerso in un cilindro, per sfruttare l’effetto ciminiera, impiegando nuovi materiali in maniera innovativa tale da consentire di ottenere migliori e più performanti caratteristiche termo-meccaniche.
Risultato? Ecco il Mac Pro. Ci si potrebbe accontentare? No, perché come in una ossessiva e pazzesca idea di innovazione progressiva, a strati, gli ingegneri di Apple hanno continuato a lavorare sulla disposizione degli elementi, sulla modalità di utilizzo, sulla flessibilità dell’apparecchio. Pensate solo a questo piccolo particolare: giunti alla conclusione che il Mac Pro starà sopra il tavolo e non sotto, a che può stare anche sotto e anche orientato orizzontalmente, si sono chiesti: di cosa ha bisogno un computer perfettamente cilindrico che non mostra di avere un davanti e un dietro? Di un sistema per raggiungere comodamente le varie porte di espansione e soprattutto di poterle individuare facilmente. Ecco quindi un sistema di illuminazione LED che disegna il profilo delle porte e l’icona che le identifica (Thunderbolt, USB 3, etc) e un sensore come quello usato sugli iPhone e gli iPad, un accelerometro, per capire se l’apparecchio viene girato e quindi accendere la luce. Pazzesco. Soprattutto perché ha senso: non è “innovazione a casaccio”, non sono funzionalità buttate lì senza senso, sperando sostanzialmente di imbroccarla e di vendere una caterva di esemplari perché si è toccato un misterioso tasto che risuona nella mente (e nel portafoglio) del consumatore.
Il Mac Pro è la prova d’orgoglio di Apple. È la dimostrazione, nera ed ipnotica, che sia possibile innovare qualsiasi settore e qualsiasi aspetto delle attività di vendita, anche quelle che non sono il cuore, la punta. Perché quando si fa un armadio di legno, si rifinisce e si cura anche la parte dietro, quella che non si vede. Questo vuol dire fare bene un lavoro: Tim Cook l’ha capito e fa bene il lavoro di far funzionare Apple, facendola lavorare su tutti gli aspetti, anche quelli che non si vedono, che sono fuori portata.
E poi, comunque, il Mac Pro non è poi tanto campato per aria. Quella potenza, quella semplicità, quella economicità di utilizzo (consuma molto poco rispetto a macchine di quella classe ed è anche molto piccolo) permettono di immaginarlo come una delle risorse di riferimento per il mercato. Chi ha bisogno di qualcosa del genere, magari per montare un film oppure per mixare un disco, sa che può fare di conto anche su quella soluzione. Costa tantissimo (dai tremila euro in su) ma permette anche di giungere dove una singola workstation non è mai giunta prima. E questo era il sogno su cui è stata costruita tutta Apple: aumentare la capacità dell’intelletto umano costruendo gli strumenti digitali definitivi. Alcune volte è la leggerezza, altre volte lo spessore minimale, altre volte la bruta, nera, animalesca ed enorme potenza che un Mac Pro può generare.