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Craig Federighi ribadisce: «No alle backdoor negli iPhone»

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Craig Federighi, Senior Vice President Software Engineering di Apple, dice ancora una volta no alle backdoor negli iPhone. È quindi confermata la linea intransigente della Casa di Cupertino questa volta in risposta all’FBI e al Dipartimento di Giustizia statunitense che ancora una volta propongono l’integrazione di una “porta di servizio” per consentire alle forze dell’ordine di avere sempre e comunque accesso ai dispositivi.

Le autorità del dipartimento di giustizia sono tornate alla carica, riferisce il New York Times, convinte che sia possibile progettare un meccanismo che consenta loro di accedere ai dispositivi senza indebolire troppo le misure di sicurezza intrinseche previste da aziende come Apple. In tale contesto le forze dell’ordine chiedono al Congresso di stabilire norme per obbligare le aziende che producono smartphone e tablet a integrare un meccanismo che consenta loro sempre e comunque di ottenere velocemente accesso. Sarebbero stati anche fatti degli incontri con esperti di sicurezza, per verificare la fattibilità del sistema

L’FBI richiede una disposizione di questo tipo sin dal 2010, lamentando che la sempre maggiore diffusione di dispositivi cifrati sta riducendo le capacità degli investigatori di portare a termine intercettazioni telefoniche e mandati di perquisizione.

Le polemiche sull’impossibilità per le forze dell’ordine di accedere ai telefoni protetti sono ribaltate agli onori della cronaca nel 2016 con la sparatoria di San Bernardino. Durante le indagini, l’FBI aveva chiesto ad Apple di mettere a disposizione un meccanismo di accesso secondario (quella che in gergo si chiama una “backdoor”) per l’iPhone 5c del killer Syed Rizwan Farook. Il CEO di Apple Tim Cook aveva risposto con una lettera, motivando il no per questioni di privacy e sicurezza: “La decisione di opporci all’ordine non è qualcosa che prendiamo alla leggera. Riteniamo ad ogni modo di dover far sentire la nostra voce di fronte a ciò che vediamo come un eccesso da parte del governo americano. Crediamo che le intenzioni dell’Fbi siano le migliori ma abbiamo paura che questa richiesta possa minare le libertà dei cittadini». La posizione all’epoca non era piaciuta all’attuale presidente Trump che aveva consigliato di boicottare Apple in nome della sicurezza nazionale.

Sblocco

Craig Federighi di Apple, ribadisce la posizione dell’azienda evidenziando la necessità di rafforzare e non indebolire la sicurezza in prodotti quali iPhone, spiegando che le minacce alla sicurezza dei dati custoditi dagli utenti aumentando ogni giorno, sostenendo che si tratta di una questione di “sicurezza vs sicurezza” e non di una questione di “sicurezza vs privacy”.

Le proposte che prevedono la consegna di chiavi per i dispositivi degli utenti comportano secondo Federighi “pericolose debolezze nella sicurezza dei prodotti”. “Indebolire la sicurezza non ha nessun senso se si considera che gli utenti fanno affidamento sul tuo prodotto per tenere al sicuro le loro informazioni personali, gestire le loro attività o strutture vitali come reti elettriche o sistemi di trasporto”.

Secondo alcuni ricercatori il problema potrebbe essere risolvibile con un accettabile livello di rischio, studiando ad esempio nuovi modi per sbloccare dai cifrati con metodi sicuri, sfruttando una chiave di accesso non legata al dispositivo stesso consentendo ai produttori di fornirla quando richiesta da un provvedimento di un organo giurisdizionale. Il CEO di Apple TIm Cook ha spiegato in altre occasioni che “benché le intenzioni dell’FBI siano buone, sarebbe errato obbligarci a integrare backdoor nei nostri prodotti”. La backdoor, aveva detto Cook, è qualcosa che “semplicemente non abbiamo, e che consideriamo troppo pericoloso creare” “Nelle mani sbagliate, questo software avrebbe il potenziale di sbloccare qualsiasi iPhone fisicamente in possesso di qualcuno. E mentre il governo può sostenere che il suo uso sarebbe limitato a questo caso, non c’è modo di garantire tale controllo”.

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