Arrestato nel febbraio scorso con mandato firmato dal tribunale distrettuale centrale della Corea del Sud, Jay Y. Lee, capo facente funzioni alla guida del gruppo Samsung, è stato condannato nelle scorse ore a cinque anni di reclusione per corruzione e appropriazione indebita. Samsung dovrà operare senza il suo leader per alcuni anni, cinque per l’esattezza, una pena inferiore ai 12 anni richiesti dall’accusa. Secondo The New York Times , però, si tratta di una condanna particolarmente significativa e pesante per una figura di business man così importante all’interno del paese.
L’accusa, confermata dalla condanna, è quella di aver versato 38 milioni i dollari a funzionari esecutivi per ottenere la celere approvazione del governo alla fusione tra due delle 60 aziende che fanno capo al colosso. L’operazione, una volta conclusa, avrebbe garantito a Jay Lee il controllo totale sulla compagine, così da poter succedere al padre Lee Kuhn-ee, da tre anni immobilizzato in un letto di ospedale, tra la vita e la morte. In rete le notizie sulla salute del patron di Samsung spaziano da una condizione di coma, fino alla gaffe dello stesso figlio, che in aula ha addirittura dichiarato morto il padre.
Il tribunale ha ritenuto sufficienti le prove presentate dalla procura distrettuale, nonostante Jay Lee abbia sostenuto, quale difesa cardine, l’impossibilità di conoscere esattamente le strategie del gruppo Samsung, che si articola in un mare magnum di 60 aziende incrociate tra di loro.
Per chi si fosse perso la vicenda dal suo inizio, Lee è stato arrestato perché implicato in una storia di tangenti da 40 milioni di dollari versate a due fondazioni di Choi Soon-sil, donna finita in carcere con accuse di estorsione e truffa che avrebbero interferito con le attività di governo, al punto da costringere alle dimissioni la Presidente della Corea del Sud Park Geun-hye. Il manager di Samsung ha finora negato quanto contestato ma era già incappato in un primo arresto a gennaio di quest’anno. Era stato interrogato e liberato dopo 24 ore in attesa che gli investigatori decidessero sul fermo.
La posizione di Lee si è aggravata dopo l’arresto del presidente del National Pension Service, Moon Hyung-pyo, il quale aveva ammesso di aver fatto pressioni per far approvare – quando era ministro – la controversa maxifusione dello scorso anno tra due affiliate del conglomerato, Cheil Industries e Samsung C&T. Subito dopo l’approvazione, Jay Y. Lee si era incontrato con la presidente Park: gli inquirenti avevano sospettato che questa avesse chiesto al vertice di Samsung di erogare mazzette a entità al cui capo era legata l’amica di Choi Soon-sil. Questa, avrebbe sfruttato i suoi legami con Park per estorcere a varie aziende sudcoreane decine di milioni di dollari sotto forma di “donazioni” a favore di fondazioni private da lei dirette.
La notizia della condanna arriva proprio nelle ore in cui il colosso presenta al mondo intero Galaxy Note 8, il phablet delle meraviglie che ha il compito di far dimenticare la debacle Note 7. La release del terminale si innesta così in un momento buio per i vertici di Samsung, che perde al momento una pedina fondamentale a capo dell’impero.