In Cina i prodotti di Apple (e di altre realtà hi-tech) sono sottoposti a controlli di sicurezza effettuati da una commissione legata alla locale Amministrazione per il Cyberspazio, una commissione governativa specializzata in tecnologie Internet. Lo scopo: stabilire se sono un pericolo per la sicurezza nazionale.
Della “vivisezione” di software e hardware, un processo con ricadute enormi e potenzialmente molto pericolose, parla il New York Times da cui si apprendono le particolari modalità e le possibili ragioni del processo. I controlli di sicurezza sono condotti con discrezione e senza che l’esame eseguito sia stato reso pubblico, senza chiedere il permesso né coinvolgere direttamente le aziende interessate. L’unico passaggio che tocca da vicino i produttori, sono interviste mirate ai dipendenti delle aziende straniere che sono operative sul mercato cinese. Lo scopo dell’analisi dei prodotti sarebbe comprendere il livello e le tecnologie di cifratura e i sistemi che vengono usati per l’archiviazione dei dati, per stabilire se i prodotti “sono una potenziale minaccia per la sicurezza” per la Cina. Di fatto, almeno formalmente, le autorità vorrebbero capire come sono trattati i dati dei consumatori e impedire che siano usati per scopi non autorizzati o che non sono autorizzabili dal governo.
In realtà siamo di fronte alla punta di quello che potrebbe essere un iceberg contro cui potrebbero scontrarsi tutti quelli che vogliono fare affari in Cina. Il Governo cinese potrebbe essere alla ricerca di falle nella sicurezza per mantenere in controllo sugli utilizzatori di questi strumenti. In alternativa potrebbero essere utili: «a bloccare prodotti senza fornire alcuna spiegazione o estrapolare segreti commerciali in cambio dell’accesso al mercato» dice il NY Times. Non è neppure da escludere, scrive ancora il giornale USA, «che le informazioni ricavate possano essere fornite a competitor cinesi o sfruttati per diffondere vulnerabilità utilizzabili da hacker cinesi».
Ma alcune affermazioni di Xi Jinping, presidente della Repubblica disegnano il prossimo passaggio, tre scenari, tutti particolarmente preoccupanti. Da una parte Xi pensa che sia possibile continuare ad assorbire tecnologie straniere «ma essendo certi che i prodotti siano sicuri e controllabili»; questo significherebbe cedere il controllo delle chiavi di cifratura o il codice sorgente.
Il presidente della repubblica cinese pensa che non sia da escludere la possibilità di «partire da zero, cancellando la nostra dipendenza dalle tecnologie straniere e contare sulla nostra innovazione. In caso contrario, semplicemente seguendo gli altri, non saremo mai in grado di arrivare al loro livello». In parole povere: espellere dal mercato locale chi produce cose che il governo vuol produrre, per differenti ragioni, localmente.
Xi dice che un’alternativa potrebbe essere «trovare una via di mezzo, determinando quali siano le cose che possono essere importate, cose che dovranno essere sicure e controllabili, quali devono essere importate e adattate, quali dovranno essere realizzate in collaborazione con altri e quale dovranno essere realizzate da noi, sfruttando le nostre potenzialità e la nostra innovazione». Di fatto in questo scenario, il governo cinese potrebbe decidere quali prodotti importare, quali prodotti bloccare, quali prodotti adattare, quali prodotti copiare. Un incubo per chi opera nel settore della tecnologia (e non solo), soprattutto per Apple.
In termini di entrate, dopo gli Stati Uniti, la Grande Cina (un termine con il quale ci si riferisce collettivamente ai territori amministrati dalla Cina inclusi Hong Kong e Macao), è il secondo più grande mercato per Cupertino e le parole di Xi sembrano confermare che alcuni che ritengono questa dipendenza come eccessiva sia un fattore di debolezza invece che di forza. Tra chi la pensa in questo modo c’è Carl Ichan che ha liquidato tutte le sue azioni Apple temendo l’inceretezza del futuro. Nel caso il governo della Repubblica Popolare lo voglia, Apple – dice Ichan potrebbe essere costretta a modificare le sue strategie per rispettare disposizioni imposte e questo anche se le direttive avessero una logica solo per quel mercato. In alternativa potrebbe essere espulsa dalla Cina con conseguenze, a questo punto, enormi.
In effetti, qualche piccolo segnale sta cominciando ad emergere. Da alcune settimane la Mela sta avendo difficoltà con il governo del paese che ha ad esempio obbligato l’azienda a chiudere iTunes Movies e iBooks Stores. Recentemente, Apple ha investito l’enorme cifra di 1 miliardo di dollari in Didi Chuxing (una sorta di Uber locale), una mossa che potrebbe essere intesa come un tentativo di normalizzare le relazioni, ma c’è a scommettere che se le intenzioni del governo cinese saranno quelle di mettere sotto controllo le aziende straniere, non basterà certo il più grande investimento estero degli ultimi anni per cambiare la direzione degli eventi.
Per ora Apple in ogni caso fa mostra di traquillità. Ad aprile di quest’anno Bruce Sewell, consulente legale di Apple, nel corso di un’audizione con la Commissione USA per l’Energia e il Commercio alla Camera sulla questione cifratura, ha parlato anche della Cina negando con fermezza che Apple abbia mai fornito il suo codice sorgente ai cinesi.