La redazione di Macity è una struttura diffusa. Abbiamo più spazi e sedi da dove lavorare, siamo spesso in trasferta, oppure dall’home office e il nostro vero ufficio in realtà è il nostro computer, Mac o iPad che sia. All’interno del computer lo spazio comune è stato a lungo la posta ma adesso è senza ombra di dubbio la messaggeria istantanea.
Dopotutto anche il prodotto del nostro lavoro viene realizzato all’interno di un contenitore digitale che si trova nel cloud: il nostro CMS (content management system) non è residente sul computer di nessuno ma “vive” in un server più volte ridondato per reggere il carico di voi lettori, sempre più numerosi, e per resistere agli attacchi di una rete sempre più pericolosa (per chi non sa prendere le dovute precauzioni: tocchiamo legno, come dicono gli americani).
Tutto questo per dire che lo stupore del titolo che abbiamo fatto passare attraverso la nostra chat lavorativa è stato solo relativo: la FCC, l’ente per la regolamentazione delle televisioni statunitensi, ha tolto la vecchia regola risalente a decenni per cui le televisioni e le radio locali devono avere una redazione nella comunità che servono. A prescindere dalle valutazioni sui barocchismi normativi (che senso ha una regola del genere?) che lasciamo a chi ha tempo da perdere, ci premeva invece un’altra considerazione.
L’idea è che il digitale stia cambiando tutto, lo sappiamo. Anche il modo con il quale si producono i contenuti, ci di ce la FCC: la polemica negli Usa è relativa al ruolo delle piccole radiotelevisioni locali e alla possibilità che in questo modo si realizzino concentrazioni di fatto spostando le redazioni locali in sedi centrali per assorbirne i costi. Il tutto ovviamente a scapito della qualità delle informazioni locali (cosa ritenuta ancora molto importante per avere un pubblico informato e quindi un corpo elettorale capace di esprimere un voto sensato, anche soprattutto visti i recenti risultati delle presidenziali americane).
È la tecnologia che permette di fare contenuti locali da sedi remote, dopotutto. E che permette di trasformare i corrispondenti in anime vaganti da uno Starbucks all’altro con un MacBook e un disco pieno di immagini girate con l’iPhone 8 e la GoPro da montare e spedire prima del Tg della sera. Un mondo alieno alla mente e alle abitudini lavorative di generazioni di giornalisti, così come i cambiamenti digitali sono alieni alla mente e alle abitudini lavorative di generazioni di altri lavoratori in altri settori, più o meno creativi.
La produzione dei contenuti è cambiata per sempre, ce ne siamo accorti forse in ritardo anche perché, come dice Enrico Mentana, a difendere il mondo dei giornalisti ci sono contratti blindati e troppo ricchi che costitiuiscono il vero costo e il vero ostacolo al cambiamento delle aziende editoriali. Però, se è vero che c’è il virus della paura del cambiamento, un virus mortale, è anche vero che ci sono gli anticorpi dell’innovazione digitale. E piani per contrastare il declino tramite la trasformazione e il cambiamento dirompente, la “disrtuption” di cui tanto si parla ma che poi preferiamo tutti se avviene nell’azienda di qualcun altro.
Parliamo allora di cambiamenti dettati dalla Industria 4.0, del piano tutto italiano (completamente mutuato dall’azione messa in piedi dagli industriali tedeschi e fatta propria dal governo di Angela Merkel che anche il nostro esecutivo ha trovato particolarmente adatta alla configurazione prevalentemente manufatturiera della nostra economia) che forse abbiamo finora in parte frainteso. È vero, i contenuti e tutto il resto si produce oramai digitalmente e la mancanza di competenze, di connessioni e di cultura del digitale sono i veri rischi della nostra epoca molto breve ma molto molto intensa. Però, proprio perché c’è da capire, guardiamo meglio in “Industria 4.0” qual è la parte davvero rilevante. Non il settore dell’industria, perché la cosa si applica a tutti. Non il “4”, perché quella digitale sia la quarta rivoluzione industriale è relativamente irrilevante. No, la parte più importante è lo zero. Che sta a simboleggiare l’annullamento delle distanze, dei tempi morti, degli intervalli di separazione.
Zero come la distanza che separa fornitore da produttore e quindi dal consumatore. Zero come il tempo che ci mette un bit ad attraversare la rete. Zero come la frizione che gli strumenti digitali contrappongono alle azioni intelligenti scelte da chi dirige le aziende. Tutti questi zeri però diventano dei muri insuperabili se non ci si sa preparare alla logica e alla cultura del digitale. Questo lo stiamo capendo adesso, con venti anni di ritardo, nel settore della comunicazione e dell’informazione.
Per questo la regola del 1940 per gli Stati Uniti che prevede che ogni canale televisivo locale abbia un numero di telefono gratuito in zona e che sia possibile andare a vedere gli studi locali da parte del pubblico, nell’epoca del web e dello smartphone è diventata un dinosauro. E per questo non solo la FCC la vuole eliminare ma lo fa con il supporto della National Association of Broadcasters. Perché si tratta di requisiti definiti “non più necessari” nell’era “del news gathering mobile”. E noi, cosa stiamo aspettando?