Alla faccia dei disfattisti e dei pessimisti. Quelli che non avrebbero scommesso una lira, pardon un euro, sulla “tenuta” di Tim Cook e che oggi si devono ricredere: cinque anni, che non sono pochi, e negli stessi giorni in cui Apple festeggia il miliardesimo iPhone venduto. L’uomo della pioggia, colui il quale ha saputo far cambiare velocità ad Apple trasformandola in una corazzata rompighiccio, è l’uomo solo al comando.
Tim Cook è leggermente più giovane di Steve Jobs anche se è sempre sembrato più vecchio: aveva gestito l’azienda durante le due convalescenze post-operatorie di Jobs e poi era stato lui stesso a volerlo alla guida di Apple: la poltrona di numero uno era arrivata pochi mesi prima della scompersa di Steve Jobs, nel 2011. Oggi fanno cinque anni, durante i quali molte cose sono cambiate.
Apple vede un rallentamento delle vendite di iPhone, che è il suo cavallo di battaglia: due terzi del fatturato e la proiezione maggiore per l’azienda. Tim Cook ha sbagliato (l’assunzione del dimenticato responsabile dei negozi, durato pochi mesi, ammette Cook stesso che è stata “una cavolata”). L’azienda ha assunto posizioni inedite, come l’apertura della beta pubblica prima di macOS e poi di iOS (per evitare il ripetersi di figuracce come con il lancio di Mappe ma Jobs non avrebbe mai voluto) e ha combattuto battaglie di principio come quella contro l’FBI per la protezione della privacy dei clienti: una battaglia sacrosanta che adesso sta dimostrando di essere anche tecnicamente molto più sensata che non l’alternativa scelta da Microsoft e Google di mettere backdoors e spie nei sistemi operativi e sistemi di crittografia per essere “a disposizione delle autorità”.
Ancora, Tim Cook ha dichiarato pubblicamente di essere gay e ha preso posizioni piuttosto intransigenti e dure su questi temi, così come ha dinostrato di avere sensibilità per i principi, i valori, la salute, le persone con disabilità, le cose che nella vita vanno oltre il profitto e il semplice calcolo utilitaristico. Famosa la sua litigata con un azionista Apple, al quale ha consigliato di andare a investire in qualche altra azienda se ci tiene così tanto a speculare per il puro guadagno. Apple non fa cose sbagliate: non vende per la pubblicità i suoi utenti; non ne compromette la sicurezza, non li penalizza con prodotti incompleti o malfunzionanti.
Adesso Tim Cook, che ha superato indenne i suoi primi cinque anni di solitudine, sta per entrare in una nuova fase. I mercati promettenti crescono ma fino a un certo punto (vedi India e adesso anche Cina), i nuovi prodotti tardano ad arrivare (vedi il “blocco” dei nuovi Mac), l’azienda è diventata molto più frammentata e con tanti protagonisti che rilasciano interviste, mentre prima parlava solo il capo.
Tornasse Jobs, farebbe fatica a riconoscere molti aspetti della nuova Apple che ha silurato il suo delfino Scott Forstall e promosso Jony Ive nel ruolo di Deus ex machina e difensore del Verbo di Jobs, unico vero intoccabile all’interno di una squadra dove in realtà tutto è molto fluido. Ma era quello che Jobs voleva: la persona che facesse quel che era giusto per l’azienda, non quello che si doveva pensare che Jobs avrebbe voluto che si facesse.
Dove ci porterà allora Cook? Difficile dirlo (anche se l’ironia del suo nome che è come quello dello scopritore dell’Australia lascia immaginare quantomeno lunghe navigazioni). Lo vedremo. Il numero uno di Apple festeggia con numerose interviste ai giornali americani, dalle quali si ricava un ritratto peculiare, a volte quasi contraddittorio. Il gentiluomo del Sud degli Stati Uniti, che pensa prima di parlare e che rivendica parole come onore e valori nel campo spietato del business. L’uomo solo al comando di Apple però è anche più di questo e gioca su tanti tavoli: ha rapporti di altissimo livello e non ha esitato a fare mosse anche azzardate (l’acquisto di Beats) pur di consolidare il ruolo di Apple. Vedremo.