L’idea è, di per sè, geniale. In quest’epoca ombelicale fatta di ricordi e amarcord, di rivisitazioni e di ricordi, perché non tuffarsi nella memoria del digitale che non c’è più? Ci pensa Product Graveyard, sito di reminiscenze leggere come il bit e colorate come icone un po’ fané che ieri avevano la nostra attenzione e oggi neanche più ci ricordiamo che esistono.
Ecco dunque la lunga teoria di siti e di app mai più senza, dei quali però abbiamo fatto a meno per uno o due lustri. Salvo poi, quando le si rivedono, ripiombare pavlovianamente nel bisogno e nel piacere, salivando davanti a segnali che erano sepolti nelle sinapsi e oramai avevamo obliato.
Ci sono Orkut, Wave, Everpics, Mailbox, Picasa, Google Reader, Windows Live Messenger. E poi Parse, Wine MegaUpload. Ce ne sono decine e decine. Sapevate che il vostro cervello poteva assorbire tutti quei marchi e quei loghi, tutti quei nomi e tutti quei posizionamenti? Pensavate di no? Credevate di non avere più memoria di cotanto cascame digitale? E invece eccolo, riemergere dal di dentro, perniciosamente annodato nel sottoscala delle vostre sinapsi.
Indelebilmente stampato, come cantavano i Supertramp un paio di decenni fa o più. Potenza dei simboli, la materia che dà forma ai sogni e ai desideri.