Mark Cuban, imprenditore noto per essere, tra le altre cose, presidente dei Dallas Mavericks (squadra di basket della NBA) elogia Apple per il suo rifiuto a integrare backdoor negli smartphone, spiegando che l’azienda merita una “standing ovation” per la lotta che sta portando avanti contro l’FBI a sostegno della cifratura smartphone.
“Ogni strumento che protegge la privacy e le libertà contro oppressioni, tirannie, scriteriati o peggio, può spesso essere utile per difendere i nostri preziosi diritti” scrive Cuban sul suo blog personale; “con lo stesso spirito con il quale proteggiamo il Secondo Emendamento (il diritto di possedere armi negli USA, ndr) non dobbiamo permettere ad alcune posizioni negative di frapporsi agli aspetti positivi. Dobbiamo difendere il nostro diritto alla libera opinione e alla libertà”.
Cuban invita gli statunitensi a spingere i loro rappresentanti politici a fare approvare una legge che limiti le circostanze nelle quali le aziende possono essere obbligate ad aiutare gli enti investigativi a violare un dispositivo. Quattro le condizioni che, a suo dire, dovrebbero verificarsi per consentire l’accesso: atto di terrorismo con vittime, dispositivo usato da qualcuno coinvolto nella sparatoria, dispositivo sul luogo dell’attentato e decesso del terrorista in possesso del dispositivo.
Cuban ammette che non si tratta di un tema semplice ma ritiene che una discussione aperta possa servire all’America per decidere come proteggere i cittadini e garantire allo stesso tempo sicurezza e libertà individuali.
Del tutto diverso il tono di Richard Burr, senatore della Carolina del Nord che vorrebbe introdurre una norma per criminalizzare le aziende che rifiutano di decifrare i dispositivi nei casi che riguardano indagini governative, paventando il consueto spauracchio per “assassini, pedofili, spacciatori e altri che già usano queste tecnologie per coprire le loro tracce”.