Mentre si compie la parabola di Steve Jobs, continua anche l’ascesa di Cook. Il cinquantunenne nuovo Ceo di Apple ha un passato tutto nel settore dell’elettronica, da Compaq a IBM, arrivando ad Apple assieme a Steve Jobs. Suo il ruolo fondamentale nella chiusura di tutti gli impianti di produzione dell’azienda e lo spostamento della produzione in Cina, mossa strategica per salvare l’azienda alla fine degli anni novanta. Cook non ama comparire in pubblico, né parlare alle folle di appassionati della mela. Finora solo i giornalisti e gli analisti finanziari hanno avuto la possibilità di incontrare lo schivo manager, che ha sempre detto di preferire la palestra alla vita sociale. E in effetti della sua vita privata non si sa niente, ancora meno di quella del già super-privato Jonathan Ive, designer geniale e timidissimo manager.
L’era Cook si presenta come una mediazione tra Steve Jobs e quello che verrà dopo. Non solo perché comunque Jobs rimane come presidente esecutivo di Apple, o perché i prodotti che usciranno nei prossimi 24 mesi sono stati concepiti prima di oggi, con la collaborazione attiva dell’ex Ceo di Apple, ma anche perché l’ex braccio destro di Jobs gioca da anni un ruolo chiave nell’azienda. La successione a Steve Jobs è tutta interna, straordinariamente morbida, anche se chissà quali scontri duri si siano avuti dietro le quinte. Oppure no: Apple è una società capace di stupire anche da questo punto di vista. Cook è la migliore scelta possibile da questo punto di vista e il suo essere schivo lascia spazio a quella che si annuncia come un “volto plurale” dell’azienda: Schiller, Farrell e altri sul palco a presentare prodotti, Cook in cabina di regia a studiare la strategia dell’azienda. Con l’aiuto, ovviamente, del presidente Steve Jobs.