Un applicazione crowd sourced per diffondere la cultura del Wi-Fi libero in Italia. È CheWiFi (scritto alla “geek” #CheWiFi!), un programma per iPhone e iPad (e in futuro anche Android) è stato annunciato ieri da CheFuturo!, il sito dell’editore CheBanca!.
L’applicazione, presentata recentemente ad Apple per l’approvazione e quindi di prossima pubblicazione su App Store, arriva a stretto giro di posta dopo l’inclusione nel cosiddetto Decreto del Fare, di una serie di norme che finalmente rendono libero il Wi-Fi nel nostro paese. Il suo scopo è quello di offrire un panorama sui punti di accesso gratuiti in Italia; utilizzando un motore di ricerca e il GPS, CheWiFi! ci dirà sempre se in zona abbiamo la possibilità di collegarci gratis al Wi-Fi. La particolarità è nella formazione del database che si fonda sugli utenti; basterà collegarsi a Facebook e Twitter segnalando l’hot spot che abbiamo individuato. In questo modo dovrebbe man mano nascere una mappa capillare che va dalle grandi città, dove i punti di accesso sono mappati, ai piccoli paesi dove sussistono piccole ma non meno importanti a fini sociali, turistici e di informazione, iniziative per il Wi-Fi aperto e fruibile da tutti.
Secondo quanto si apprende da Riccardo Luna, direttore di CheFuturo!, attualmente sono già 24mila i punti di accesso segnalati e la metà sono stati verificati. Il quadro, dice ancora Luna dice già «molto dello stato del wifi in Italia: parla di un nord che ha più di metà di tutti gli hotspot; di un testa a testa fra Roma e Milano fra le città più connesse; di una vivacità notevole di Piemonte e Emilia fra le regioni. Ma soprattutto il database serve a evidenziare difetti da migliorare: la duplicazione di hotspot pubblici fra reti diverse a Roma; il vuoto inspiegabile in certe città anche ricche del nord che contrasta con l’attivismo di posti come Pesaro, Prato, Lecce dove la volontà di alcuni ha creato valore per tutti; la virtù di Firenze che ha federato tanti reti diverse sotto un unico denominatore, così navighi da una via all’altra senza staccarti mai».
Il database su cui si fonda sarà rilasciato in opendata: «questo vuol dire che chiunque – aggiunge Luna – potrà scaricarlo, verificarlo, riutilizzarlo. Farci sopra una app. Magari. A questo serve l’opendata: alla trasparenza; a favorire conoscenza e quindi integrazioni di offerte; miglioramenti di servizio; applicazioni»