La notizia della sua morte è stata fortemente esagerata. La mail doveva scomparire e invece è sempre in prima fila, splendida quarantacinquenne, unico sistema di comunicazione universale attraverso tutta la rete, il cui formato è il più semplice e “future proof” tra quelli usati attraverso Internet. La mail funziona sempre, con tutti e per tutti. Chi invece è scomparso (ne abbiamo parlato qui) è il suo inventore, Ray Tomlinson, finora oscuro ingegnere che nel 1971 ebbe l’intuizione di creare il sistema di comunicazione diventato standard per la rete.
Una nota tecnica e una personale. Dal punto di vista tecnico “l’invenzione della mail” è stata in realtà una innovazione incrementale: tutti i sistemi mainframe e soprattutto poi quelli Unix hanno la multiutenza e meccanismi di messaggistica interna per scambiare informazioni tra utenze e amministratori. Se si pensa, soprattutto, al fatto che i “vecchi” cervelloni elettronici grandi come una stanza avevano terminali (da cui il nome del programma che su Mac fa girare la shell) anche fisicamente molto distanti dalla sede centrale, si capisce che la possibilità di mandare in tempo reale dei messaggi che poi però restassero a disposizione dell’utenza, è stata una necessità avvertita sin dall’inizio.
La posta elettronica aggiunge la chiocciola e soprattutto definisce uno standard (consolidato con alcuni documenti rfc, alla base di internet) secondo il quale i messaggi si possono scambiare tra utenti diversi anche su host diversi: la chiocciola insomma separa il nome della persona dal suo indirizzo digitale. Con l’avvento del web la fusione tra identificatori unici di risorse per web, posta e altri protocolli è diventata forse ingannevole, ma alla base c’era questa differenziazione.
Il lavoro di Tomlinson, notevole e lodevole, è stato quindi quello di creare il meccanismo giusto al momento giusto: la rete poi lo ha fatto suo e non lo ha più lasciato. Anche perché la posta elettronica in realtà non è per niente “posta”. Per svelare la metafora, manca la busta e il francobollo, nel senso che i messaggi viaggiano in chiaro e non sono indirizzati tramite un’autorità centrale, bensì attraverso un gioco di server non dissimile da quello dei DNS per gli indirizzi web.
La nota personale: il vostro cronista da anni aveva il nome di Tomlinson nella sua lista di personaggi da rintracciare e intervistare. Una sorta di carnet da usare quando il lavoro è in stanca e c’è bisogno di qualche salto di qualità. Purtroppo, per pigrizia e per caso, Tomlinson non è mai arrivato in cima alla lista, e adesso scompare, portando con sé la storia della posta elettronica “dal suo punto di vista”. E scompare pochi giorni dopo la morte di un altro personaggio fondamentale per lo sviluppo e soprattutto la diffusione della posta elettronica: Jim Kimsey, morto martedì scorso a 76 anni. Fu il co-fondatore di America OnLine e viene ricordato per aver lasciato strada al giovane Steve Case, esperto di marketing digitale molto giovane che, assunta la guida di AOL, ne fece un colosso (oggi quasi estinto) al centro della bolla delle dot com negli anni Novanta.
AOL ebbe il merito di diffondere la connessione a internet, è stato infatti il primo e più grande service provider dial-up degli Stati Uniti, e prima di cercare di diventare una media company ha portato l’indirizzo di posta elettronica in casa di moltissimi. Anzi, prima che la rete diventasse un posto in cui era facile lasciare una traccia con blog e social media, il modo con il quale si costruiva una relazione in rete passava per forum, chat Irc e per mailing list e newsgroup. Tutte cose alle quali Kimsey aveva dato il via silenziosamente durante i dieci anni in cui aveva guidato AOL. Ricordate “C’è posta per te”? In originale “You’ve got mail”, da cui anche il film con Tom Hanks e Michelle Pfeiffer? Un mondo che si apriva per tutti, imparando l’uso di tecnologie digitali che facevano terminare l’epoca dei radioamatori e degli amici di penna per aprire quello elettrico della comunicazione istantanea digitale.
Veniamo di nuovo alla posta elettronica in quanto tale, data per morta come si diceva all’inizio e invece sempre più attiva. A partire dalla nuova ondata di mailing list, eleganti e ben create, che nell’epoca dell’economia dell’attenzione e del diluvio di informazioni, costituiscono una valida alternativa a qualsiasi altra forma di comunicazione. Sobrie, discrete, ritagliate su misura, le mailing list a sfondo commerciale o anche solo amatoriale stanno vivendo una nuova vita da un anno a questa parte. Anche perché superano l’overhead di comunicazione e della conseguente confusione, portando fuori invece i vantaggi di un sistema di comunicazione che può essere inteso come sincronico (cioè in cui emittente e ricevente sono online nello stesso momento) che diacronico (il messaggio viene salvato per essere consumato dopo).
Nel tempo in molti hanno tentato di far fuori la posta elettronica: da Wave di Google a Facebook e Whatsapp, anche Twitter in qualche modo. E invece ha resistito. Forte di una metafora sbagliata (in realtà più che posta in formato elettronico potremmo definire i messaggi delle lunghe cartoline o delle lettere aperte), nonostante lo spam, la censura e anche i tentativi di sabotaggio: a lungo la posta è stato il principale vettore di infezione di virus per computer.
E adesso? La posta elettronica va avanti, ovviamente, mentre la traiettoria esistenziale di Tomlinson si interrompe. L’uomo passa ma il suo nome resta: un contributo piccolo e forse piuttosto indiretto, ma enormemente più grande di quello che la quasi totalità di noi potrà mai sperare di dare. Il suo nome verrà ricordato e per di più sarà associato a qualcosa di fondamentalmente buono. Chi può dire altrettanto di sé?