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Un tribunale per cambiare il futuro di Apple per sempre

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La potremmo chiamare la madre di tutte le cause contro Apple. O se vogliamo il colpo al cuore di ogni velleità di Cupertino di sfruttare l’integrazione tra hardware, servizi e software per tenere a distanza la concorrenza.

A prendere la mira, come spiega in un articolo il New York Times e come abbiamo accennato qui, è il dipartimento di giustizia (DOJ) degli Stati Uniti in un’azione legale di gigantesche proporzioni che potrebbe offuscare per conseguenze quella che, a cavallo tra gli anni ’90 e quelli del nuovo millennio, distrusse l’ambizione di Redmond di dominare Internet attraverso Windows.

L’articolo del giornale americano è molto dettagliato, ma nella sostanza al centro di tutto ci sarebbe il sistema con cui Apple sfrutta il controllo su iPhone per far crescere il suo business a scapito di quello dei concorrenti e nel contempo rende complicato abbandonare i suoi dispositivi.

Questa strategia, che si collocherebbe nell’illegalità perché determina uno scenario anticompetitivo, pensa il DOJ, è verificabile in vari ambiti: Apple Watch di fatto richiede un iPhone, non è possibile avere iMessage al di fuori delle piattaforme Apple, i concorrenti di Airtags non possono accedere ai servizi di localizzazione, Apple Pay non può avere alcuna alternativa, nessun concorrente può avere accesso al sistema di Siri.

Ad avere suscitato l’attenzione del Dipartimento di Giustizia sarebbero state varie aziende che hanno segnalato separatamente ma in maniera convergente le strategie di Apple come finalizzate ad escluderle dalla competizione con i dispositivi Apple.

Garmin avrebbe lamentato le difficoltà degli utilizzatori dei suoi smartwatch a sfruttare la messaggistica di iPhone; Beeper avrebbe voluto fare un iMessage per Android ma è stata bloccata nel suo tentativo; Tile voleva avere la possibilità di fare un prodotto realmente concorrete con Airtags ma non può accedere ai servizi di localizzazione allo stesso mode dello smartag Apple.

Ma sul tavolo del team che sta valutando la possibilità di aprire la causa contro Apple ci sarebbero anche le segnalazioni giunte da Meta, per il sistema antitracking che impedisce di seguire il percorso dei clienti tra varie applicazioni, e quelle di aziende come Spotify costrette al pagamento di una percentuale se una transazione per i loro servizi avviene attraverso la piattaforma App Store.

Se si vuole cercare un filo comune in tutto questo esso va ricercato in una filosofia che Apple coltiva da anni, quella dell’accennata integrazione tra software, hardware e servizi. Un fiore all’occhiello che agli albori del Mac (dove essa si limitava all’integrazione tra sistema operativo e hardware) era considerato il vero gioiello della corona, ma che ora la Mela sfrutterebbe, pensano i concorrenti, per proteggere il suo mercato e impedire una competizione ad armi pari.

Tutto questo, vero o no che sia, per trasformarsi in sanzioni, dovrà fondarsi sulla dimostrazione di un principio: la dominanza Apple nei mercati dove opera e i manager Apple per difendersi affermeranno, come hanno già fatto (con alterne fortune) in passato di non avere una posizione dominante là dove si accusa Cupertino di escludere i concorrenti.

Ma se per caso questa strategia  non avesse successo e davvero il DOJ avviasse la madre di tutte le cause, all’orizzonte si profila uno scenario con stravolgimenti epocali, simile a quello cui abbiamo accennato in apertura, con cui venne sciolto il vincolo che Microsoft aveva cercato di stabilire tra lo sviluppo di Internet e Windows, dando un corso del tutto differente all’universo della rete e della tecnologia nella sua interezza.

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