Lightning è diventato un sassolino nel perfetto ingranaggio di Apple: la porta di connessione e ricarica voluta da Apple, introdotta sul mercato il 12 settembre del 2012 è un piccolo prodigio del passato.
È stata superata per molti versi da altri tipi di connettori, tra cui soprattutto il connettore USB-C che, pur nella complessità e varietà di possibili cavetti, è stata voluta anche da Apple ed è uno standard che ci terremo ancora per molto tempo, in parte grazie anche all’Unione europea.
Tuttavia, Lightning non è stata abbandonata. Tutt’altro. È ancora presente in nuovi prodotti appena rilanciati da Apple. A differenza del vecchio connettore dei primi iPhone e iPad, che venne “silurato” senza tanti complimenti e non lasciò alcuna traccia dietro di sé, anche perché molto più grosso e ingombrante ma soprattutto perché il suo ecosistema, per quanto all’epoca apparisse enorme, era in realtà relativamente piccolo.
Non è soltanto la durata temporale (Lightning c’è da 11 anni, il connettore a 30 pin è durato per poco più di sei) quanto i volumi di apparecchi. L’era dei prodotti Apple con connettore Lightning è stata impetuosa, con centinaia di milioni di pezzi venduti, ed è stata guidata sostanzialmente da iPhone.
Tutto l’ecosistema, a parte i Mac, è stato attrezzato con una presa Lightning. Telefoni e tablet, certo, ma anche AirPods di tutte le tipologie (normali, Pro e Max) i Magic Mouse, le Magic Keyboard e le Magic Trackpad 2. Non c’è apparecchio con batteria interna di Apple che non utilizzi un connettore Lightning.
Il che non sarebbe necessariamente un male se non fosse che da quest’anno, con iPhone 15, non c’è più né un telefono né un tablet che utilizzi la presa Lightning. Neanche i modelli di iPad di base, dalla decima generazione lanciata l’anno scorso, o i mini lanciati due anni fa, o tutti gli altri (Pro e Air sono stati i primi).
Quindi, a parte i Mac che legittimamente non hanno mai avuto una presa Lightning (o a 30 pin, se è per questo) e sono solo di recente nei modelli portatili tornati con la terza versione di MagSafe (la presa che si stacca, non quella a induzione), tutti gli altri computer di Apple sono passati da Lightning al connettore USB-C. A suo tempo anche la porta di servizio di Apple TV.
Degli accessori, c’è solo la versione 2.5 di AirPods Pro che ha aggiornato il connettore della custodia-ricarica con USB-C (e altri cambiamenti che la rendono unica per connessioni con il futuro Apple Vision Pro). Tutti gli altri sono Lightning. Anche le tastiere Magic Keyboard, i MagicMouse e i Magic Trackpad 2 venduti con i nuovi iMac appena presentati, che hanno a bordo il nuovo processore M3, utilizzano la Lightning per la ricarica.
Questo vuol dire che, in buona sostanza, chi le utilizza dovrà tenere caro il cavetto Lightning che Apple deve peraltro continuare a produrre per poter alimentare quella categoria di apparecchi. E continuare a produrne anche per alimentare i vari auricolari tutt’ora in commercio (le due versioni di AirPods e la versione Pro non USB-C).
Non è tanto un autogol, anche se per alcuni versi come utenti che vivono nell’ecosistema Apple possiamo considerarlo anche tale, quanto una transizione “storta”. Sappiamo che Apple ha dovuto accelerare con il passaggio da Lightning a USB-C per gli iPhone, causa Unione europea, altrimenti lo avrebbe fatto tra uno o due anni e avrebbe mirato a dispositivi che gestiscono in maniera diversa la ricarica come, ad esempio, quel famigerato AirPower, che viene rinviato da prima della pandemia.
Tuttavia, è anche evidente che non si tratta solo di “pigrizia aziendale”, cioè inerzia, o mancanza delle risorse: per fare questi cambiamenti servono infatti parecchi ingegneri per riprogettare le componenti di una serie di accessori che sono fatti su misura, non sono basati su componenti e firmware già realizzate in Asia. Invece, è evidente che la Apple costruita da Tim Cook sia quando era il braccio destro esecutivo di Steve Jobs che adesso che ha ereditato il bastone del comando è una Apple che procede sì per innovazioni, ma come un transatlantico: ci mette tantissimo a sterzare.
Questo probabilmente, ma è una nostra interpretazione, perché l’azienda ha una scala talmente grande, una dimensione talmente enorme, che deve pianificare i cambiamenti di direzione con anni di anticipo, come fa appunto un transatlantico quando deve virare. Ha fabbriche, contratti con terzisti, forniture in essere, componenti pre assemblate che vengono movimentate lungo una filiera piuttosto lunga.
I cambiamenti ci sono, sono sempre evolutivi tranne quando sono rivoluzionari, ma sono sempre pianificati e gestiti in maniera molto anticipata. È l’unico modo per garantire il funzionamento di una macchina produttiva e logistica enorme. Non sappiamo quali vincoli contrattuali Apple abbia con i suoi fornitori per la realizzazione di porte Lightning in varie categorie di apparecchi. Non sappiamo quanti componenti abbia già ordinato e fatto produrre, quanto sia lungo l’impianto da “svuotare” prima di passare a produrre altro.
Se da un lato, come non ci stanchiamo di ribadire, il gesto atletico che diamo per scontato, cioè la capacità di implementare nuove tecnologie, richiede in realtà tempi lunghi e molte energie, ci sono anche altri tempi tecnici necessari per fare in modo che venga esaurita la commessa pianificata probabilmente da 3-4 anni (per avere prezzi migliori, per assicurarsi i materiali necessari a realizzare le componenti, per coprire i picchi del mercato) e tutto questo sta creando l’ingorgo dei connettori Lightning che non se ne vogliono andare.
L’unico accessorio “cambiato” sono state le cuffie AirPods Pro che sono anche forse l’unico che viene venduto in grandi quantità, mentre il resto seguirà una strada diversa, più lenta, basata sull’esaurimento naturale delle forniture, sulla progettazione di nuove versioni dei prodotti (nuove tastiere, mouse, trackpad, auricolari e cuffie).
Tutto questo ci fa capire che Apple ha certamente l’agilità di muovere risorse e modificare i volumi di produzione, ma al tempo stesso non è più una azienda particolarmente elastica. La sua scala, i suoi livelli produttivi e la sua dimensione di mercato le impediscono di essere agile come un’azienda più piccola.
Google produce pochi milioni di Pixel all’anno eppure ha tempi lunghi per aggiornare alcune scelte hardware, preferendo lavorare sul software. Apple muove un transatlantico di prodotti, centinaia di milioni di telefoni e poi tutto il resto, e non ha più l’agilità per saltare da un connettore all’altro, se non con una certa rincorsa. Che richiederà ancora uno o due anni, a nostro avviso.
La morale? Se avete in casa un cavetto Lightning in più non buttatelo via ma infilatelo in un cassetto. Potrebbe tornarvi ancora utile.