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Caso Apple-Samsung, parla la giuria: «Convinti che i coreani hanno copiato»

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L’incapacità da parte degli avvocati di Samsung di dimostrare che l’azienda Coreana non ha copiato il design di iPhone nella realizzazione dei sui telefoni. Ecco che cosa, in sintesi, ha determinato il verdetto favorevole ad Apple nel caso che vedeva opposta Cupertino e la rivale. A spiegare alcuni aspetti della sentenza e le modalità con cui si è arrivata ad essa, sono gli stessi giurati in diverse interviste rilasciate ad importanti media americani: Wall Street Journal, C/Net e Reuters.

«Le modalità con cui Apple ha presentato le sue prove – dice a C/Net Manuel Ilagan, uno dei sette giurati – ci ha convinto che c’erano chiare infrazioni da parte di Samsung. I messaggi di posta elettronica in cui i manager di Samsung dicevano che alcune caratteristiche di iPhone dovevano essere utilizzate anche per i loro dispositivi per me sono state molto convincenti. Altrettanto convincente è stata presentazione dei dispositivi di Samsung prima e dopo il lancio di iPhone. Le presentazioni che sono state fatte da alcun manager di Samsung mi sono poi parse elusive; evitavano di rispondere alle domande e non hanno aiutato la loro causa».

In ogni caso, come spigano i giurati, tutta la procedura di giudizio non è stata facile né unanime; c’erano infatti diversi aspetti controversi su cui la giuria ha dovuto discutere a lungo e in alcuni casi anche passare oltre, mettendo da parte temporaneamente la discussione, perché non trovava un accordo. Due di questi punti sono stati il brevetto del Bounce Back e quello del pinch to zoom, ma anche il cosiddetto “trade dress” (l’aspetto globale che resta il marchio distintivo di un dispositivo) ha messo in difficoltà la giuria. «Apple ha voluto convincerci che anche iPad era stato copiato e che quindi Samsung andava sanzionata, ma il trade dress di iPad non è stato registrato e non dovevamo essere noi a svolgere una funzione di protezione delle loro proprietà intellettuali, per questo devono rivolgersi all’ufficio brevetti».

Per risolvere la questione interno all’aspetto della schermata principale dei dispositivi Samsung che secondo Apple, con le sue icone semi arrotondate su sfondo nero, è stata presa di peso dai primi iPhone, la giuria ha fatto una cosa molto semplice: ha spento le luci e acceso un iPhone e i telefoni Samsung incriminati trovando che erano del tutto simili: «anche se la grafica interna alle icone era differente – ha detto un altro giurato, David Dunn – l’aspetto era lo stesso».

Molto più facile è stato decidere se Apple aveva infranto due brevetti di Samsung relativi alle trasmissioni dati: «Apple usava processori di Intel e Samsung aveva concesso una licenza ad Intel. Apple, dunque, non poteva avere commesso una infrazione in questo caso».

Per quanto riguarda la somma che Samsung dovrà pagare per risarcimento, il calcolo è stato fatto non sui dati forniti da Apple (secondo cui i margini spuntati da Samsung erano del 35,5% su ogni dispositivo), ma tenendo in considerazione altri aspetti portati dagli esperti di Samsung che sostenevano che la rivale non avesse messo nel conto vari costi. «In più – come spiega Velvin Hogan, un terzo giurato, a Reuters – i danni richiesti erano straordinariamente alti anche perché Apple non è stata in grado di dimostrare che avrebbe avuto la possibilità di soddisfare la richiesta di prodotti che i suoi avvocati sostenevano essere stata sottratta da Samsung. Volevamo che il risarcimento fosse sufficientemente alto per essere punitivo, non un semplice buffetto sulla guancia, ma non irragionevole»

Dai giurati arriva anche una risposto a chi, anche nelle scorse ore, ha manifestato perplessità sulla rapidità con cui si è arrivati alla sentenza: 21 ore, meno di tre giorni di lavoro, sono parsi a molti osservatori un tempo molto ridotto per riprendere alla quantità di domande che erano sul tavolo ed esaminare tutta la documentazione. Per accelerare il processo di analisi, come spiega, Ilagan al Wall Street Journal, si è deciso di prendere prima in esame se Samsung avesse o meno infranto i brevetti di Apple per cercare poi di procedere rapidamente al giudizio. «Una volta visto quali fossero i brevetti infranti – dice Hogan a Reuters – abbiamo analizzato i dispositivi, uno per uno. Tutto il percorso è stato facilitato e accelerato grazie al fatto che alcuni di noi avevano esperienza nel campo legale ed ingegneristico. Non abbiamo di sicuro messo dei foglietti in un cappello ed estratto a sorte. Alla fine possiamo dire di avere di essere stati giusti e di avere la coscienza a posto; non siamo stati influenzati in alcun modo, da una parte o dall’altra. Siamo in grado di sostenere onestamente il giudizio di fronte a qualunque contestazione». E a chi dice che una giuria che risiede in gran parte a qualche chilometro da Cupertino potrebbe essere stata influenzata dal fatto che doveva giudicare un’azienda di casa arriva una netta risposta da Mauel Ilagan: «La giuria ha parlato di fatti, non di aziende»

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