Nonostante sia molto recente, la storia di “IlPost.it” è stata raccontata in varie occasioni da molti giornali e poi dallo stesso Luca Sofri, il suo fondatore e direttore: tre anni di ragionamenti e riflessioni, cinque investitori (fra i quali il fornitore di tecnologia e raccolta pubblicitaria online Banzai), cinque redattori e l’obiettivo di andare in attivo entro tre anni. Perlomeno, queste le notizie al momento della presentazione del sito.
Una presentazione che è stata accolta con attenzione e forte curiosità da parte dei media tradizionali perché si tratta di uno dei primi casi di testata giornalistica “generalista” e contemporaneamente di entità totalmente digitale, costruita non solo con tecnologie ma anche con canoni del tutto differenti da quelli del mondo dell’informazione tradizionale. Un esempio su tutti: è l’unico giornale online che linka, nella colonna di destra delle “cose interessanti”, ad altri giornali in rete: Repubblica o il Corriere online non lo farebbero mai.
Poi, come sempre accade, la tensione si è allentata. Proprio nel momento più interessante: quando la pratica quotidiana ha superato i ragionamenti teorici precedenti al lancio, ma prima però che subentrino e si consolidino delle abitudini routinarie che facciano dimenticare lo studio e la preparazione dei mesi precedenti. Insomma, è come se gli spettatori sugli spalti si fossero distratti proprio quando il tuffatore era in aria, a metà fra il trampolino e l’acqua. Cioè proprio quando emerge con maggiore chiarezza la differenza fra la teoria e la pratica del giornalismo generalista online: come ci si trova a guidare un prodotto editoriale tutto digitale e inedito anche nel metodo per il mercato italiano?
Siamo così andati con una certa curiosità a vedere cosa succede nel Post, anche perché Luca Sofri è da tempo una delle “facce da Mac” più note in Italia e un utente Apple talmente convinto da avere in programma anche di realizzare una App per iPhone e iPad che serva a fare da veicolo al Post. Prima di continuare, una avvertenza però: il vostro cronista conosce da tempo Luca Sofri, proprio grazie a una vecchia intervista fatta per Macity, e successivamente, ha lavorato con lui ad un programma radiofonico. Ma non ha alcun coinvolgimento attuale con il Post, il sito di informazione lanciato ventidue giorni fa oggi.
A suo tempo, come ricorderanno i lettori dai capelli bianchi, Sofri aveva infatti uno dei primi blog “famosi” in Italia, cioè Wittgenstein, e lavora oltre che come collaboratore a vari giornali anche alla conduzione del programma televisivo Ottoemezzo di Giuliano Ferrara (oggi condotto sempre su La7 da Lilli Gruber). Ecco come si chiudeva la chiacchierata con Macity, fatta tutta via email:
Un’ultima domanda prima di salutarci: quali sono secondo te gli sviluppi che ci saranno nella tua professione nei prossimi anni? Tecnologie come internet e nuovi modi di comunicazione come i blog renderanno meno centrale la figura professionale dei giornalisti? E soprattutto, il mondo andrebbe avanti lo stesso anche senza di loro?
“Non so che sviluppi avrà il mese prossimo, figuriamoci nei prossimi anni. Ma non credo che il giornalismo cambierà in modo epocale: internet ha cambiato un po’ i modi di fare I giornalisti, ma il prodotto è sempre abbastanza quello, e quello resterà”.
Forse le cose sono andate proprio così come Luca Sofri diceva nel 2003: il giornalismo italiano parrebbe essere rimasto nella sostanza uguale a se stesso, con i suoi molti vizi e anche qualche virtù, nonostante degli aggiustamenti “estetici e tecnologici” più di forma che non di sostanza. Oppure, alternativamente, si potrebbe dire che sta iniziando a cambiare proprio adesso. Ora cioè che, insieme ai blog e al citizen journalism, stanno nascendo anche realtà inedite per il nostro paese, come per l’appunto il Post. Talmente inedite che è anche difficile definirle chiaramente.
Luca, la prima domanda è proprio questa: cos’è esattamente il Post?
Non ho una risposta: è una questione ampiamente dibattuta e non risolta. Come chiamare tutto questo che abbiamo fatto è stata una questione su cui ho riflettuto tanto ma non ho affatto trovato una risposta. Il Post è un giornale online, è l’espressione più facile e comprensibile rispetto a determinati ambiti. Ma in realtà è molto diverso da un giornale tradizionale online, e comunque il termine tende a far immaginare cose un po’ anacronistiche, modalità di presentazione delle informazioni che appartengono al passato o che ancora si fanno come riproduzione in rete della forma giornalistica caratteristica del quotidiano. L’altro termine che ho provato a usare è “superblog”. Di fatto è un blog, ma un blog molto “aumentato”, come la “realtà aumentata”.
Quindi non c’è neanche un nome per quello che fate?
Gli americani stessi non hanno un termine per un modello a cui ci ispiriamo. Continuano a chiamarli siti di news o di informazione. Possiamo dire che il Post è la somma di un gruppo di blog da un lato e di un aggregatore di news editoriale dall’altro. Aggregatore di news editoriale perché non è automatico: c’è una redazione, che invece di produrre notizie le cerca e le raccoglie in rete. La ricchezza e la rapidità delle news in rete permette di essere competitivi con i siti tradizionali, non per quantità ma per qualità. Secondo noi infatti le notizie che riusciamo a dare sono meno per quantità ma migliori per qualità.
Allora l’obiettivo qual è? Se è vero che i mezzi di comunicazione tradizionali sono diventati anche “lontani” dalla gente, con il Post vuoi sconvolgere l’agenda dell’informazione e renderla più vicina ai lettori?
Voglio sì muovere un po’ l’agenda, ma sconvolgerla forse no. Penso invece che, al contrario, il lavoro di diseducazione e impigrimento dei media tradizionali italiani ci abbia un po’ appesantito e reso abitudinari tutti quanti. Tutti si lamentano come luogo comune che i giornali e i mass media ci parlano sempre delle stesse cose, cioè soprattutto di politica chiacchierata, e poi non ci raccontano mai quello che succede realmente nel mondo. Però, quando c’è qualche giornale che dedica paginate ai grandi avvenimenti nel mondo, come qualche rivoluzione o trasformazione, in realtà tutti quanti saltiamo a pie’ pari e andiamo a vedere che cosa è successo a Casini e agli altri politici di casa nostra. Noi non vogliamo dare alle persone tutto quello che vogliono, che è anche una cosa un po’ demagogica, ma invece una selezione intelligente fatta da noi. Io credo nella responsabilità di quelli che fanno il lavoro di giornalista di decidere loro una agenda per i lettori e di fare in modo che questa sia una agenda potenzialmente più interessante.
Negli Usa quali siti di news guardate come modelli?
Ormai sono quasi tutti, anche i siti di news dei gruppi editoriali tradizionali, vicini a questa formula. Hanno cioè fatto diventare prevalente un grande lavoro di firme, opinioni e blog al loro interno. Anche di aggregazione e selezione dei contenuti raccolti in giro. Poi, negli Usa c’è chi lo fa come impostazione di base: Huffington Post, come modello concettuale e sostanziale, e Daily Beast, in termini di confezione limitata e ordinata delle notizie, con poche informazioni. E anche Slate, certo, che fa più un lavoro sui commenti e le idee.
Una cosa che è caratteristica da sempre del mestiere del giornalista, anche e soprattutto quelli in rete, è la ricerca dello scoop, della notizia-bomba in esclusiva. Leggendo in questi venti giorni il Post, non sembra che li cerchiate, questi scoop. O no?
Nella impostazione del lavoro e soprattutto nella misurazione delle nostre forze, in questo momento quello che negli Usa si chiama “reporting”, cioè la produzione originale di notizie, abbiamo deciso non poter essere prioritaria. Anche per l’Huffington Post all’inizio era così. Poi, con forze maggiori si vedrà. Con quello che possiamo fare adesso, con investimenti di forze e persone fisiologicamente limitati, sul reporting no, non siamo in grado di fare niente. Non abbiamo le forze economiche per farlo. Ci stiamo assestando e rodando, poi faremo più cose su quel versante. Abbiamo comunque già fatto produzione originale di notizie trovate da noi, e la faremo sempre di più, ma lo consideriamo come un arricchimento del nostro lavoro di DJ della notizia, cioè di “selezionatori di cose”, come dico io, che poi è il nostro lavoro al il Post.
I primi risultati? Com’è andata la messa online del sito?
Molto bene. Duecentomila pagine servite ogni giorno nei primi giorni, quando l’hype era molto alta e si è parlato molto di noi sia dentro che fuori la rete. Però, adesso non sto a guardare le cifre: è presto e oltretutto sono molte, differenti tra loro e molto complicate da analizzare. Quello che ho capito è che abbiamo già raggiunto e superato i primi obiettivi che ci eravamo dati, siamo già avanti rispetto a quello che era previsto, e quindi stiamo lavorando per rendere regolare e costante il flusso delle nostre attività e dei visitatori.
Una punto critico del giornalismo nostrano (e non solo) è il rapporto alle volte troppo stretto con la politica, che siano le forze di governo o quelle di opposizione. Qual è il rapporto con la politica del Post, che al suo interno ha anche dei blog di politici come Civati, Scalfarotto, Serracchiani?
Ti rispondo in maniera simile a quello che dicevo rispetto alle news. Voglio privilegiare le cose che sono più di qualità ma senza atteggiamenti snob. Non vogliamo seguire il dettaglio, non ci interessa fare il pastone delle notizie politiche della giornata. Anche su politica vogliamo fare un lavoro di alleggerimento e di qualità: ci interessa anche il modo di essere di una certa politica italiana. Anche raccontandola con alcuni dei nostri blog.
Una anticipazione per i lettori di Macity, Luca. Avete nel cassetto una app per iPhone e iPad?
C’è il progetto, una delle mille cose da fare più avanti, fa parte di quello a cui stiamo lavorando o a cui dobbiamo lavorare. Non lo stiamo facendo proprio adesso, a dire il vero, ma abbiamo persone che lavorano a questa idea e stiamo cercando di realizzarla.
E uno spin-off su carta? Uno sbarco nella “old-information”, magari ospiti di qualche testata esistente?
Non è una cosa che mi interessa, non c’è neanche nelle pagine che dobbiamo ancora sfogliare dell’agenda. Poi non si può mai sapere: se scopriamo che serve fare i gelati sponsorizzati “IlPost.it”, allora li facciamo. Se scopriamo che invece serve sbarcare sulla carta, allora magari ci pensiamo. Ma adesso direi proprio di no.
Grazie per la chiacchierata, Luca, ciao.
Grazie a te, ciao.