Era una mattina grigia e umida e con quella pioggerellina fastidiosa che ti fa ringraziare ad ogni passo di poter attraversare Bologna sotto i suoi interminabili portici. La lezione di Scienze era appena finita e come ogni bravo studente fuori sede stavo per affrontare la lunga fila della mensa.
Passo come ogni giorno davanti alla vetrina del negozio di computer piazzato proprio di fronte al mio appartamento e da dietro la vetrina che riflette i palazzi in cotto rosso di Via Mascarella mi appare, inaspettata, una strana schermata bianco azzurrina con un “hello” a grandi caratteri neri.
Strano, finora i computer che erano in facoltà , nei negozi e l’Apple II su cui programmavo in Basic avevano tutti un monitor a fosfori verdi e l’unico che avessi mai visto con uno schermo simile su una rivista era il Lisa, sempre di Apple, una sorta di mostro costosissimo con software integrato e rivoluzionario per quei tempi.
Quel simpatico scatolotto ricordava un poco il Lisa ma le dimensioni erano ridotte, si sviluppava in verticale ed era diverso da qualsiasi altro calcolatore mi fosse capitato di vedere.
Entrai in negozio e mi mostrarono il mouse con il grande tasto con la mela scavata, la tastiera compatta collegata con un cavo a spirale e i pacchetti di software che erano già disponibili il retro con stranissime porte contrassegnate da icone. Ma quel che mi affascinò fu un dettaglio che a molti poteva sembrare secondario: il grande incavo ricavato nella parte superiore utile a sollevarlo e portarlo con se da un posto all’altro dell’ufficio o persino dall’ufficio a casa.
Il personal computer era stato già inventato probabilmente con il primo Apple nel 1977 ma finalmente, a sette anni di distanza, questo oggetto aveva una dimensione ed un aspetto amichevole, la capacità di assecondare l’utente nei suoi spostamenti e salutava da dietro la scura vetrina con un messaggio rassicurante.
Da studente non potevo permettermi quello che si chiamava “test drive”, il giro di prova che richiedeva le garanzie di un professionista per poterlo portare a casa ma in quel negozio sono poi tornato molte volte per il gusto di lavorare con MacPaint, per scrivere dei testi e vedere realmente sul monitor l’impaginazione e i caratteri finali, per imprimere su un realistico fondo bianco le tracce nere e spessorate di un progetto mentre tutti disegnavano a rovescio.
Quella meraviglia, quello stupore di fronte alla bellezza del design, allo studio ergonomico che elimina i fronzoli per adattarsi al modo naturale di lavorare con gli oggetti di tutti i giorni l’ho ritrovato in questi anni in tanti prodotti con la mela e mi ritrovo anche oggi, magari dall’altra parte della vetrina di un negozio Apple, a scorgere sul volto dei passanti quella stessa espressione incantata di fronte all’assoluto fascino di un Mac che mi si poteva leggere in faccia quel giorno di 25 anni fa.
Buon compleanno Mac!