Chi scrive segue le cose di Apple ormai da parecchi anni. E ha sempre usato questa tecnologia, prima per caso (era il computer di casa), poi per scelta (era il computer per il quale si spendeva un piccolo patrimonio) e infine per piacere (è l’unico strumento informatico del quale ci si fidi). A partire dalla fine degli anni Ottanta, per intendersi: una storia piuttosto lunga, anche con i parametri di oggi.
Questo per dire che c’è qualcosa che non è finito sul taccuino del vostro cronista che è comunque davvero sorprendente e quindi vale la pena di approfondire o quantomeno registrare. Dopotutto, i cronisti servono a dare materiale grezzo agli storici, no?
Quello di cui si parla adesso è l’aggiornamento a OS X 10.9 Mavericks. Che è stato fatto in una maniera in cui non andrebbe fatto e che vivamente sconsigliamo di seguire. La stanchezza, il bisogno di vedere alcune cose nuove, un po’ di incoscienza che per fortuna non ha avuto conseguenze, a portato a uno stile di aggiornamento che non invitiamo i lettori a replicare ma anzi a “deprecare”. Prendete questa guida per “Come non si aggiorna un Mac”. Anche se così è stato fatto.
Siamo arrivati a Londra per seguire con gli altri giornalisti invitati da Apple l’evento di lancio dei nuovi prodotti. Aereo, taxi, hotel, doccia, sandwich e via verso il centro convegni, cioè l’auditorium del Guardian, con due grandi pullman nei quale stavano circa 100 giornalisti da tutta Europa. Incluso chi scrive, il suo zainetto, il suo iPhone 5 (le cui foto avete potuto apprezzare nelle gallerie pubblicate da Macity) e il suo MacBook Air i7 del 2011, servito a fare la diretta e a scrivere i vari pezzi più altri lavori di varia amministrazione informatica e coordinamento giornalistico.
Questo evento Apple, carico di aspettative, è stato anche abbastanza lungo. Novanta minuti a un ritrmo estremamente serrato, senza pause se non qualche video in demo: una fatica, neanche i calciatori corrono così tanto senza fare un quarto d’ora di intervallo. Arrivati alla fine, è il momento di scrivere i pezzi, per Macity e per i grandi quotidiani nazionali, a cui segue la corsa nella sala prove per lottare spalla a spalla con gli altri colleghi, che in questi momenti diventano molto competitivi, per riuscire a toccare, provare, fotografare, farsi un’idea dei vari prodotti. Insomma, dalle 18 fino alle 21 di sera ora inglese (le 22 italiane) è stata una bella corsa. E tre ore di corsa si fanno sentire.
Tutto questo per dire che, appena finito, il cronista si è seduto su una poltrona nella hall dell’auditorium, aspettando i colleghi ritardatari e, complice una presa elettrica e una wireless di buona qualità, nel delirio della stanchezza è stato preso da un’idea. Perché non aggiornare adesso a Mavericks? Così, senza backup, senza fili, senza rete, senza niente. Detto, fatto. Cinque giga e mezzo scaricati in venti minuti sul divano e poi è partito il processo di aggiornamento.
L’Air non ha disco rigido, quindi quando si è trattato di tornare in albergo con il pullman (immaginate una scolaresca piuttosto indisciplinata fatta da maschi adulti e tutti muniti di giacconi e zaini da rocciatori pieni di computer che si accalcano per entrare in un pullman sotto la pioggia) l’idea era che non ci dovevano essere problemi, perché anche con i sobbalzi non ci potevano essere errori di scrittura. Siamo partiti e siamo arrivati all’hotel in quindici minuti, con l’aggiornamento prima fase finito e la richiesta del secondo riavvio definitivo (il primo è dopo il download per far partire il processo). Batteria ce n’era ancora, siamo andati a mangiare nella sala rinfreschi – ancora sandwich e zuppa calda, molto apprezzata – mentre il Mac finiva di aggiornare come niente fosse, neanche stesse sulla scrivania di casa attaccato alla rete fissa e con la Time Capsule che si prende cura dei backup orari.
Finita anche questa fase, tra la zuppa e il primo sandwich, sono partiti gli aggiornamenti alle varie app: tutto iLife e tutto iWork aggiornato in circa mezz’ora scarsa. Totale: un’ora e spiccioli e tutto era finito. Fatto al volo, buttato nella hall di un centro convegni, in pullman, sui tavoli di una sala conferenze, con connessioni che cambiavano, prese elettriche volanti. Insomma: abbiamo installato in questo modo un nuovo sistema operativo e tutto fila: Safari è cambiato fino al midollo però ha mantenuto tutte le finestre aperte dall’ultima sessione, la stessa cosa per Mail e per le altre app che erano in funzione prima dell’update. I file sono dove devono essere, lo spazio sul disco è aumentato di un paio di giga e chi scrive deve ammettere che, in 25 anni, non ho mai visto una cosa simile. Per questo l’umile cronista si è sentito in dovere di raccontarvela. Questa è storia.
OS X 10.9 Mavericks è gratis da questa pagina di Mac App Store.