Fabrice Bellard, sviluppatore noto per FFMPEG, QEMU e altri software, propone un nuovo formato da utilizzare al posto del JPEG: il formato BPG acronimo di “Better Portable Graphics”. Bellard spiega che il nuovo formato permette di memorizzare file con la stessa qualità dei JPG in metà spazio, può essere supportato al volo dai browser e siti web appoggiandosi a un minuscolo decoder Javascript, supporta gli stessi metodi colore del JPG, il canale alpha e riduce gli artefatti generati dagli algoritmi di lossing. Il formato BPG supporta nativamente immagini a 8 o 14 bit per canale, immagini con compressioni lossless e la gestione di metadati (EXIF, profili ICC, XMP, ecc.).
Non è la prima volta che qualcuno cerca di proporre un formato alternativo al JPEG. Mozilla, ad esempio, lo scorso anno ha lanciato un progetto denominato mozjpeg, con lo scopo è migliorare la compressione JPEG riducendo la dimensione dei file. Il formato JPEG è usato da oltre venti anni: gli encoder JPEG sono rimasti fermi in termini di efficienza nella fase di compressione, e rimpiazzare questo formato con qualcosa di più efficiente è sovente argomento di discussione. Il problema nell’uso di un formato diverso dal JPEG è che la sua diffusione richiederebbe anni e creerebbe problemi di incompatibilità con i software esistenti
A ottobre del 2013 da uno studio di Mozilla sul formato WebM proposto da Google (supportato da Chrome e Opera) risultò che quest’ultimo non garantiva un rilevante miglioramento in termini di efficienza rispetto al JPEG. Mozilla propone invece l’uso di un fork del progetto bjpeg-turbo che include lo script jpgcrush scritto da Loren Merritt che è possibile trovare in vari forum e che consente di ridurre senza perdita di qualità i file JPEG fino al 10% (almeno secondo i test effettuati su un campione di 1500 immagini da Wikimedia).
Bellard nel frattempo ha rilasciato libbpg (libreria specifica completa di codice sorgente), il decompressore JS e una demo con la famosa immagine nota come “Lena” si trova qui. Lena (o Lenna) è l’immagine di una Playmate della pagina centrale della rivista Playboy, da sempre usata per valutare gli algoritmi di compressione (la fotografia fu per gioco usata negli anni ’70 dal dipartimento di Signal and Image Processing Institute dell’University of Southern California durante le fasi di sviluppo e sperimentazione di uno scanner).